In questi giorni, è stato pubblicato un libro che raccoglie le riflessioni più significative di Antonio Caronia (1944 – 2013).
Nato a Genova e morto a Milano, laureato in Matematica, Caronia ha animato il collettivo Un’ambigua utopia sull’immaginario politico e fantascientifico, ed è stato filosofo, teorico di sociologia e di estetica dei nuovi media, docente all’Accademia di Belle Arti di Brera, alla NABA di Milano e al Planetary Collegium di Plymouth.
Questo libro appena pubblicato dalla casa editrice Meltemi è a suo nome, con titolo e sottotitolo Dal Cyborg al Postumano. Biopolitica del corpo artificiale. A curare i testi di questa antologia: Fabio Malagnini, giornalista e digital marketer, e Loretta Borrelli, multimedia designer, che hanno lavorato con Caronia a progetti editoriali e didattici.
Il mediologo Alberto Abruzzese, nella prefazione al libro, scrive: «Antonio è un amico che ci è venuto a mancare proprio quando tutto ciò che aveva anticipato per noi, narrato e sceneggiato – e che noi abbiamo imparato a riconoscere grazie a lui e con lui – si sarebbe pienamente realizzato, condensato, spingendosi più oltre ancora alle forme materiali e come tali socialmente e testualmente consumabili dei mercati dell’immaginario, ma tuttavia non ancora al di là della nostra immaginazione. Pochi hanno saputo come lui leggere la tecnica attraverso l’umana natura e questa attraverso la tecnica. Tutto ciò che leggerete in questo libro è attuale in quanto Caronia, capace di leggere in profondità la letteratura tecno-scientifica sul virtuale e insieme la virtualità della letteratura di finzione, ha sempre concepito e visto l’attualità come potenzialità».
Fabio Malagnini e Loretta Borrelli, curatori del libro, hanno risposto ad alcune domande sul pensiero di Caronia.
Nella riflessione di Caronia, cosa ha significato parlare di postumano? «Il postumano è un tema essenziale nella produzione teorica di Caronia, almeno a partire dagli anni Novanta, ma emerge anche ai margini della sua riflessione sui media e sul linguaggio. Lui stesso se ne è occupato, sempre ben consapevole di avere a che fare con un tema spesso frainteso e non privo di contraddizioni. A questi mutamenti del concetto di natura umana, ha dedicato gran parte della sua ricerca, spesso servendosi dell’immaginario fantascientifico, ma non solo, come di un framework particolarmente produttivo. Uno degli obiettivi del volume è stato quello di mettere in luce i diversi modelli interpretativi utilizzati di volta in volta da Caronia, le configurazioni di sapere che ha individuato e da cui sono scaturite idee sempre diverse di essere umano, in un arco che va dall’antichità alle pratiche di artificializzazione del corpo».
Che cosa era, per lui, la biopolitica del corpo artificiale? «Come chiarisce la lezione tenuta all’Accademia di Brera nel giugno 2010, posta in apertura del libro, per lui il tema della artificializzazione del corpo è un tema implicitamente foucaultiano: quello che non era immaginabile nel regno della sovranità e della disciplina, dove la natura era semplicemente data, e quindi immodificabile, lo diventa con la nascita della biopolitica descritta da Foucault, che nel suo intreccio di sapere e potere abilita il corpo tecnologizzato e culturalmente fluido. Il robot, l’androide, e infine il cyborg, è il nuovo soggetto biopolitico. Nel corpo del cyborg, un corpo presto “disseminato” attraverso le reti, si esprime il punto di fusione tra l’immaginario tecnologico “neoliberista” e la persona umana. In questo senso ci sembra che la condizione postumana descritta da Caronia abbia colto in anticipo il regime della biopolitica in emersione nel nostro presente, un regime digitale che sta riplasmando la definizione di individuo e i limiti che sembravano immodificabili per la nostra specie».
Su quali temi della critica letteraria fantascientifica si è distinto Antonio Caronia? «A Caronia si deve una riflessione filosofica sintonizzata sul pensiero di autori radicali come Philip K. Dick, James Ballard, Samuel R. Delany, Ursula Le Guin e in seguito William Gibson, quando ancora la science fiction era emarginata dalla letteratura per bene del secolo scorso. In seguito, ha tradotto Ballard e con Domenico Gallo ha prodotto un monumentale lessico dell’universo dickiano (La macchina della paranoia) ma soprattutto si è servito di loro, e sicuramente di Gibson e di Burroughs, per mettere a fuoco la condizione postumana mano a mano che il piano dell’immaginario, ora tecnologico, si riversava nella trama dell’esperienza. Per Caronia la fantascienza ha raccontato il secolo scorso, e poi è finita, assorbita dalla realtà, aumentata o virtuale che fosse. Lui aveva anche una formazione matematica e scientifica che gli permetteva di cogliere angolature e associazioni ellittiche, spesso sorprendenti. Certe sue intuizioni si rivelano a distanza di anni: Digital Time-slip, scritto 12 anni fa, sembra oggi la premessa necessaria per l’analisi di un film come Tenet di Christopher Nolan».