I dettagli fanno la differenza, anche nel calcio. Ieri si è conclusa la diciannovesima edizione dei Mondiali di Calcio, con la vittoria della Spagna sull'Olanda. Pochi altri fenomeni sono globali come lo sport più popolare del mondo: il calcio.
Il calcio, inoltre, rispecchia quello che c'è nella società: abilità, scorrettezza, ingenuità, fatica, fortuna, sfortuna, rabbia, prepotenza, desiderio, lealtà, impegno, emozioni.
Sul piano tecnico-tattico, questo non è stato un grande Mondiale. Poche partite sono da annotare come memorabili. Le sudamericane sembravano destinate ad arrivare fino in fondo, ma Brasile e Argentina sono uscite ai quarti di finale contro avversari che hanno saputo ingabbiare il loro gioco, senza dimenticare il rendimento al di sotto delle attese di campioni come Messi e Kakà. Va registrato qualche progresso di scuole calcistiche che non hanno grande nome (Ghana e Paraguay ai quarti di finale, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti agli ottavi). Come in ogni Mondiale, ci sono state le delusioni: Francia, Inghilterra e, purtroppo, anche l'Italia. L'Inghilterra di Capello non ha trovato concretezza di gioco, mentre Francia e Italia sono arrivate al Mondiale trascinandosi situazioni non adeguate: i francesi sono stati dilaniati dai problemi interni, soprattutto fra il ct Domenech e i giocatori, e la Nazionale Italiana non aveva idee vincenti, con un rabberciato mix fra la generazione (nel frattempo invecchiata) che aveva vinto in Germania nel 2006 e qualche giovane emerso in campionato. Il nuovo ct Prandelli avrà molto lavoro da fare per ridare competitività alla Nazionale: a partire da un investimento di lungo termine sulle generazioni più giovani e sui talenti del calcio italiano. Il Portogallo aveva un campione come Cristiano Ronaldo, ma il resto della squadra non era certo eccezionale.
Si tratta del secondo Mondiale consecutivo in cui nessuna Nazionale del Sud America arriva fra le prime tre (l'ultima è stata il Brasile con la vittoria del 2002). Sembra comunque prevedibile un ritorno del calcio sudamericano nella prossima edizione: Brasile 2014. Intanto, la Spagna è la prima squadra europea ad aver vinto i Mondiali fuori dall'Europa.
E, dunque, chi è andato bene? Le quattro squadre giunte alle semifinali (Spagna, Olanda, Germania, Uruguay) hanno qualcosa in comune: hanno investito, in vario modo, sulle giovani generazioni e in questa edizione hanno raccolto i risultati, ovviamente in misura diversa. La Germania ha, tradizionalmente, un buon rendimento medio ai Mondiali e il terzo posto conseguito conferma quello dell'edizione precedente. Il gradino più basso del podio è stato conquistato attraverso una rosa che ha un'età media di appena 25 anni. Non a caso, i tedeschi hanno presentato giocatori che corrono e hanno dato vita ad alcune delle partite più interessanti del torneo (in particolare, la finale per il terzo posto con l'Uruguay). L'Uruguay, storicamente considerato come la terza forza calcistica sudamericana (stretto fra il "duo" Brasile-Argentina), ha raccolto un insperato quarto posto, grazie ad alcuni buoni giocatori (tra cui Forlan), un tabellone non troppo severo, ed un allenatore di lunga esperienza come Tabarez.
E siamo così arrivati alle finaliste di Sud Africa 2010: Spagna ed Olanda. Due società diverse: intrisa di cattolicesimo, con forti correnti laiche, la prima; flessibile e pragmatica la seconda. Sono arrivate in finale seguendo percorsi diversi: la Spagna è sempre stata consapevole della propria forza, e dopo lo scivolone della sconfitta nella prima partita (contro la Svizzera), ha chiuso la difesa e si è fatta interprete di un calcio tecnico, fondato sul possesso palla e sul massimo risultato ottenuto con il minimo sforzo. L'Olanda non ha avuto problemi nel girone mondiale e ha risolto partite complicate contro Brasile ed Uruguay, segnando sempre più dell'avversario.
Due forze che si annullano: e la partita giunge ai tempi supplementari, dove arriva l'espulsione del difensore olandese Heitinga, esito di una condotta di gioco eccessivamente fallosa degli olandesi. Il match sembra avviarsi ai rigori, come accaduto nel 1994 e 2006, ed ecco il dettaglio che fa la differenza: a pochi minuti dal termine, un pallone grossolanamente rinviato dalla difesa olandese rimane nei pressi dell'area di rigore, da dove parte il lancio per Iniesta, che mette in rete il pallone che vale il Mondiale.