Secondo appuntamento con il ciclo di interviste.
Armando Fumagalli è docente di semiotica ed etica della comunicazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e, presso lo stesso Ateneo, è direttore del Master in Scrittura e produzione per la fiction e il cinema. Ha tenuto lezioni in università estere (Spagna, Svizzera, Cile, Stati Uniti, Argentina) ed è consulente del gruppo di produzione televisiva Lux Vide per lo sviluppo di progetti e sceneggiature di fiction televisiva.
Lei dirige il Master in Scrittura e produzione per la fiction e il cinema dell’Università Cattolica di Milano: come è nato questo corso? E’ nato dall’esigenza di una casa di produzione televisiva, la Lux Vide, di formare persone che avessero ottima cultura di base, apertura mentale internazionale e capacità di lavorare da subito con professionsiti di alto livello. E questa è stata un po’ la nostra fortuna: siamo nati nel 2000 in fortissimo dialogo con il mondo aziendale e, da lì, quelli che erano corsi universitari di tre-quattro mesi sono diventati un master di un anno. Ciò che molte aziende ci riconoscono è riuscire a dare una formazione profonda e molto concreta al tempo stesso, e sono soddisfatte delle persone che formiamo e che molto spesso vanno a lavorare da loro. Tutto questo in un ambiente che, come è noto, tende ad essere molto chiuso. Per me, è un grosso risultato.
In questi anni, quali sono state le difficoltà e le soddisfazioni nel formare nuove leve per l’industria audiovisiva italiana? Paradossalmente, le difficoltà sono state proprio costruire un dialogo reale con le aziende: abbiamo avuto ragazzi e ragazze in gamba, selezionati dopo aver toccato anche punte di 250 domande per 28 posti d’aula. Perciò, abbiamo potuto lavorare per un anno con persone dotate di una grande sensibilità culturale, un carattere aperto agli altri, voglia di approfondire. Sono contento dell’attività svolta e il mio lavoro di docente universitario, da quando esiste il Master, ha preso le ali: poter lavorare con un gruppo di persone motivate, selezionate, con apertura mentale e voglia di fare è quanto di meglio ci possa essere per un docente universitario. Abbiamo avuto anche qualche studente dall’estero: questo ci ha dato un’apertura internazionale interessante che stiamo cercando di sviluppare.
Quali sono i punti cruciali nel rapporto tra aspiranti autori e mercato italiano dell’audiovisivo? Il punto cruciale è intendere bene il termine ‘creatività’. Spesso i giovani pensano che creatività sia abbandonare qualsiasi regola, qualsiasi esigenza nei confronti dello spettatore, qualsiasi relazione con le esigenze del mercato. Invece, la creatività vera si vede in chi sa dare novità in un campo che ha dei paletti, ovvero la relazione con lo spettatore, le dimensioni dei mercati, i formati. Bisogna capirlo. Sia nell’ideazione di fiction sia in quella di film c’è spazio per cose nuove e intelligenti ma lo spazio e l’attenzione vanno conquistati: non si può pensare all’utopia di produttori che passano tutto il giorno a leggere progetti di nuovi talenti. I produttori hanno molte cose da fare, selezionano molto, già riuscire a farsi leggere è un risultato. Queste sono le condizioni, purtroppo. Bisogna aver pazienza, scrivere e riscrivere. Altra dimensione importante è capire che la prima cosa che si scrive non è quasi mai presentabile: spesso buoni progetti sono la quinta, decima, ventesima stesura. Ci sono progetti per il cinema, ad esempio, che sono in sviluppo da due o tre anni, ed è giusto che sia così perché devono arrivare alla quarta, quinta, decima stesura per essere progetti veramente di grande livello, al punto da far sì che un esordiente possa essere letto e il progetto possa avere la qualità e la forza di imporsi sul mercato.
La scrittura, sia per la televisione sia per il cinema, è un elemento fondamentale per il successo di un’opera audiovisiva. Assieme ad un buon lavoro di produzione e marketing. La figura del writer-producer è ancora rara in Italia: quali vantaggi porterebbe? Porterebbe i vantaggi dell’avere una considerazione globale del progetto. Un bravo writer-producer capisce bene i contenuti, quindi sa valutare le sceneggiature, e capisce bene anche le condizioni del mercato. E’ la persona che ha la comprensione a 360° del progetto. In Italia, i writer-producers sono pochi, sia nella televisione sia nel cinema. Noi stiamo cercando di formare non solo sceneggiatori ma anche producers; e non ci si improvvisa: sono necessari almeno 5-10 anni d’esperienza professionale per arrivare a fare bene le cose; però qualcuno emergerà.
Lei si interessa anche di animazione. Può essere una ulteriore area verso cui guardare? Sì, ed anche quest’area ha dei vincoli. La buona animazione cinematografica costa moltissimo, per cui bisogna fare progetti internazionali, di sicuro impatto sul mercato, mentre ci si può muovere con più facilità sulle serie televisive e su prodotti che usano tecnologie più semplici e più a basso costo. Ovviamente, come sempre, la qualità di scrittura fa la differenza. In questo senso, in Italia non c’è ancora grande abitudine a lavorare con cura, dettaglio, profondità sulle sceneggiature; noi speriamo di introdurla. I film della Pixar (acquistata, nel 2006, dalla Disney, NdA) sono realizzati, solitamente, da un team di cinque-sei grandi professionisti che lavora in modo collaborativo per un anno e mezzo o due, prima ancora di pensare di poter realizzare il film. Questo, in Italia, ancora non si vede ma io spero che si possa vedere in futuro.