Parlando di economia, immigrazione e relazioni internazionali con Loretta Napoleoni

Non c’è dubbio che i tre temi citati nel titolo di questo post siano di grande attualità.

Loretta Napoleoni si occupa, da diversi anni, dell’intreccio fra economia, immigrazione e terrorismo, ed è autrice di numerosi libri su questi temi. Economista indipendente, ha insegnato Etica degli Affari alla Judge Business School di Cambridge e svolge conferenze in tutto il mondo.

Napoleoni vive da molti anni fra Londra e gli Stati Uniti, e ieri c’è stato modo di incontrarla a Roma (dove è nata e cresciuta), in occasione della pubblicazione in Italia del suo recente libro Mercanti di Uomini. Il traffico di ostaggi e migranti che finanzia il jihadismo, Rizzoli editore 2017.

Leggendo questo libro, quale idea ci si fa dell’intreccio tra fondamentalismo religioso, terrorismo e traffico di esseri umani? «Lavorando a questo libro, mi sono resa conto che le modalità di finanziamento del terrorismo sono cambiate: dopo l’11 settembre 2001, in particolare dal 2003, il rapimento di ostaggi è diventato il modello di base di finanziamento dei gruppi terroristici. Ma i sequestri rappresentano una strategia di breve termine, che è servita e serve per sostenere un’altra attività di lungo termine, ovvero il contrabbando di migranti».

Quale potrebbe essere una strategia efficace per contrastare il terrorismo internazionale e per gestire il flusso di immigrati dal Medio Oriente e dall’Africa? «È un problema che non può essere risolto nel breve periodo. Si tratta di cambiare radicalmente le politiche attuate dalla caduta del Muro di Berlino fino ad oggi: aree come il Medio Oriente, l’Africa occidentale e orientale, l’Asia Centrale, facevano parte degli equilibri della Guerra Fredda, ed oggi sono diventare zone destabilizzate che rappresentano una minaccia per la sicurezza dell’Europa. Sotto la spinta di queste migrazioni epocali provenienti da Paesi come la Siria, e non solo da lì, l’Europa potrebbe incrinarsi e forse addirittura rompersi. È necessario un investimento di notevole portata: un Piano Marshall da attuare in questi Paesi, in modo tale da creare economie e politiche che non costringano gli abitanti di questi Paesi ad emigrare. Ciò richiede un investimento finanziario che, in questo momento, l’Occidente non ha voglia di fare. Temo, dunque, che le soluzioni saranno di breve periodo e non risolveranno il problema. Ad esempio, una soluzione di corto respiro è stata l’intesa con Erdogan per tenere i migranti siriani in Turchia, collocandoli nei campi profughi. Campi profughi che diventano facilmente il terreno per la prossima generazione di jihadisti».

Qual è il nuovo contratto sociale da stipulare a livello globale? «Il nuovo contratto sociale non è stato ancora stipulato, ma c’è bisogno di farlo. Se la globalizzazione produce un impoverimento di alcuni Stati e un arricchimento di altri, c’è qualcosa che non funziona. In alcuni passaggi del suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, anche Trump ha evidenziato alcune distorsioni del mondo contemporaneo. Se lo Stato non riesce più a garantire sicurezza e sopravvivenza, allora forse il contratto sociale originario non esiste più. È possibile che la difesa dei confini nazionali sia un punto importante di questo nuovo contratto sociale passi, con la creazione di un sistema che però non debba essere chiuso come una fortezza, ma che capisca quali sono i rischi all’esterno e lavori per risolvere questi rischi. Per fare un esempio degli sbilanciamenti globali, il mancato sviluppo di un mercato dell’agricoltura in Africa è dovuto al fatto che i Paesi occidentali proteggono i propri prodotti. Il nuovo contratto sociale potrebbe essere basato sull’intervento dello Stato, per fare in modo che la globalizzazione commerciale ed economica avvenga nell’interesse dei propri cittadini».