Suggerimenti per aspiranti sceneggiatori di film e serie televisive, dati da Aristotele

Anche il suggerimento dato qui sopra dal celeberrimo regista anglo-americano Alfred Hitchcock (1899 – 1980), non è male.

Perché richiama la sostanza profonda di una narrazione audiovisiva: ovvero, la struttura della storia narrata.

Negli ultimi anni, ci sono stati casi di film che sono stati prodotti con relativamente poco denaro, e quando sono arrivati sul grande schermo hanno incassato centinaia di milioni, come il film francese Quasi Amici (2011) e il britannico Il discorso del re (2010).

D’altre parte, l’esigenza di narrare ed ascoltare storie affonda nella storia dell’umanità.

Al giorno d’oggi, l’industria dei contenuti di intrattenimento è un business globale. In questi anni, peraltro, stiamo assistendo all’ascesa di Netflix, che recentemente ha raggiunto Disney sul tetto delle media companies più grandi del mondo.

Ma anche nell’epoca delle “streaming wars”, la struttura della narrazione dei prodotti audiovisivi rimane un elemento centrale.

Nel corso degli ultimi 40 anni, vari esperti statunitensi di sceneggiatura (tra i quali Neil Landau, Robert McKee, Syd Field, 1935 – 2013) hanno elaborato teorie e pratiche su come debba essere scritta una storia destinata ad essere vista sullo schermo.

Ma anche dopo millenni, la Poetica del filosofo greco Aristotele (384/383 a. C. – 322 a. C.) continua ad essere un testo utile per chi voglia approcciarsi alla scrittura di racconti.

Ed è stata appena pubblicata una nuova edizione della Poetica, ad uso di sceneggiatori, scrittori e drammaturghi, curata e commentata da due esperti del settore: Armando Fumagalli, direttore del Master in International Screenwriting all’Università Cattolica di Milano, e Raffaele Chiarulli, dottore di ricerca in Culture della Comunicazione e studioso di Critica Cinematografica all’Università Cattolica di Milano. Casa editrice di questo libro: Dino Audino Editore.

Come hanno spiegato Fumagalli e Chiarulli in questa edizione della Poetica: «Aristotele è un uomo pratico, uno scienziato nel più alto e più puro senso del termine: uno che vuole capire come funzionano le cose, senza pregiudizi, senza voler imporre schemi astratti a una realtà che va invece conosciuta per quella che è. In altre parole, Aristotele ha un approccio che potremmo definire “funzionalista”: questo serve a questo, per far funzionare le cose è meglio fare così, altrimenti ci sono problemi. Una storia è sostanzialmente il racconto di “una cosa”, un problema, una sfida, un ostacolo da superare, un obiettivo da raggiungere. Sulla base di questo elemento essenziale occorre decidere cosa “entra” nella storia (che cosa è pertinente) e cosa no. Molto più di quanto non appaia a prima vista, un buon film di solito è il frutto di un attento (e a volte crudele) processo di linearizzazione e di semplificazione, o – se vogliamo usare un termine più sofisticato – di “pertinentizzazione”: nel film deve entrare solo quello che davvero riguarda lo svolgimento del plot, e con esso la trasformazione del personaggio e l’elaborazione del tema».