Volevo ascoltare qualcosa di diverso sulla Cina. E sul suo rapporto con l’Italia. Così, sono andato al seminario organizzato la settimana scorsa a Milano dal Future Concept Lab. Giornata densa ed interessante. Ho imparato varie cose, tra alcune conferme e numerose sorprese.
Tra le conferme, la trasformazione di un Paese che, da contadino e con una industria inefficiente, si è dotato di una industria efficiente che lavora molto per esportare. E la forza lavoro è costituita in gran parte di flussi migratori interni che, negli ultimi anni, vedono 10 -15 milioni di persone trasferirsi ogni anno dalle zone interne alla fascia costiera. La crescita dell’economia si attesta su una media dell’8% annuo e gli investimenti dall’estero sono arrivati a 1000 miliardi di dollari. L’aumento dei consumi interni è una delle conseguenze degli avvenimenti di questi e dei prossimi anni. E i cinesi, oggi, stanno lavorando molto per un sogno di benessere. Fatte le debite proporzioni, sembra un po’ l’Italia degli anni ’50 e ’60…
Altra conferma è il massiccio investimento nella formazione e nella conoscenza: gli investimenti in ricerca e sviluppo aumentano alla media del 20% annuo e, in dieci anni, gli studenti in scienze ed ingegneria sono passati da 2 a 6 milioni. La preparazione della futura classe dirigente viene considerata prioritaria, e viene sviluppata anche attraverso periodi di studio all’estero. Al ritorno in patria, le competenze acquisite potranno essere utilizzate in ruoli chiave dell’economia. Con la convinzione innata che i cinesi sono padroni del proprio destino; destino gestito con logiche dirigiste e gerarchiche.
Numerose le sorprese.
Oltre ai settori industriali più tradizionali, si sta formando una via cinese alla creatività destinata ad avere riflessi a livello internazionale. La Fabbrica 798 di Pechino (detta anche Dashanzi Art District) già oggi si pone come la fucina creativa più interessante del Paese. E va tenuta presente l’importanza delle immagini e della dimensione iconica nei processi di comprensione del mondo dei cinesi. Gli ideogrammi e i processi iconografici vanno interpretati su più livelli di lettura e racchiudono molteplici significati in un unico simbolo.
I giovani cinesi sono cinesi nell’animo, ma esibiscono mode occidentali e fanno uso della Rete, seppur con i limiti imposti dal Governo, che però stimola l’informatizzazione di massa. Tale strategia si situa nella visione dirigista cinese dell’incanalamento dell’esperienza e della conoscenza.
E, inoltre, se è vero che la Cina detiene il primato mondiale di inquinamento da anidride carbonica, va notato che nei prossimi 20 anni è prevista la costruzione di 400 città ecologiche ad emissione zero. Dongtan sarà la prima tra queste e il progetto prevede che gran parte della città verrà alimentata tramite energia eolica, solare e a biomasse. L’attenzione alle energie rinnovabili è testimoniata anche dalla presenza di una azienda cinese – Suntech Power – all’interno delle società leader mondiali nella produzione di celle fotovoltaiche.
E come si rapporta il Made in Italy con la Cina?
All’interno di un mercato così vasto e complesso, è fondamentale saper instaurare una relazione culturale, e non solo economica.
Ciò che viene particolarmente apprezzato dai consumatori cinesi è il "su misura" italiano, il virtuosismo produttivo attraverso cui i prodotti italiani acquistano quelle connotazioni di ben fatto e di gusto apprezzate non solo in Cina ma in tutto il mondo.
Il caso di Illy è emblematico: oltre al caffè espresso di qualità, si rivela vincente una strategia di lungo termine tesa a far conoscere la storia complessiva del prodotto. In tal senso, l’idea di riprodurre, a Shangai, l’università del caffè ottiene un riscontro efficace: partendo dalla necessità di informare ed educare il palato cinese ad un gusto come quello del caffè Illy si può arrivare alla condivisione di conoscenze e tradizioni alimentari.
Altre aziende italiane sono riuscite a penetrare nel mercato cinese: la De Tommaso, azienda calabrese che produce calzature di lusso (indossate anche dai divi di Hollywood) e da golf, sport emergente nelle fasce cinesi più abbienti; la Giovanna Sbiroli s.r.l., che realizza abiti da sposa su misura, fatti da sarte che dedicano in media 15 ore ad abito, ed in Cina il numero dei matrimoni si aggira sui 40o.000 ogni anno; il Gruppo Artemide, attivo nella produzione di lampade e sistemi di illuminazione intelligente, ha delocalizzato in Cina una linea di produzione dedicata esclusivamente a forniture locali; la lombarda Riso Gallo riesce a vendere riso ai cinesi, anche grazie al condimento già incluso nel chicco, risultato di un lavoro di ricerca sia sul prodotto sia sui consumatori; Technogym, azienda italiana leader nel settore delle attrezzature per il fitness, ha vinto in esclusiva la fornitura ufficiale per le Olimpiadi di Pechino di quest’anno.
Queste storie indicano che esiste una possibile via italiana al mercato cinese. Il Made in Italy deve puntare sulle caratteristiche che lo rendono apprezzato all’estero: qualità ed innovazione di prodotto, lavorazioni su misura, gusto, stile, fascino. Elementi non così facili da imitare…
E, in Italia, non va dimenticata l’importanza del territorio: come ha sostenuto Giovanni Bonotto, amministratore delegato della Bonotto s.p.a.: "c’è una nuova via anche per il settore manifatturiero: bisogna lavorare sui materiali. La vera fabbrica, oggi, è il territorio, anche con la sua storia".
A sottolineare la rilevanza della strategia territoriale, va segnalato il recente progetto, curato da Fuoribiennale, di INNOVeTION VALLEY in Veneto: una regione italiana con un altissimo tasso di innovazione e di creatività.
E’ ormai chiaro come ricerca, innovazione, design possano caratterizzarsi come segni distintivi del Made in Italy di oggi e di domani.