Dunque, la maggioranza dei cittadini britannici ha deciso che il Regno Unito deve uscire dall’Unione Europea, dove era formalmente entrato nel 1973.
Il 2016 segna un anno importante nella Storia dell’Europa: per pochissimi punti percentuali (52 per cento vs 48 per cento, con affluenza ai seggi al 72,2 per cento: un dato significativo per l’affluenza ad una consultazione politica nel mondo contemporaneo), c’è stata l’affermazione della Brexit. Il risultato del referendum consultivo del 23 giugno 2016 è già entrato nel dibattito pubblico globale, e l’Europa continua a vivere un’epoca di grande travaglio politico ed economico, con l’Unione Europea che ora passa da 28 a 27 Stati membri.
Come sappiamo, i sondaggi non hanno più il livello di attendibilità che avevano in passato: fino alla vigilia del referendum, sembrava che il Remain fosse in vantaggio, e invece poi ha vinto il Leave.
Speravo che prevalesse il Remain, ma la vittoria del Leave è dovuta ad un insieme di ragioni, tra cui: la decisione dell’ormai ex premier britannico David Cameron (dimessosi in seguito al risultato del referendum, nuovo premier britannico ad ottobre 2016) di far assumere la responsabilità di una decisione così delicata al popolo britannico; l’idea dello “splendido isolamento” che è ancora ben radicata nell’Inghilterra profonda e tra le fasce più anziane della popolazione (dove è maturata la vittoria del Leave); la possibilità di gestire autonomamente le politiche sull’immigrazione e la strategia anti-terrorismo; la percezione dell’Unione Europea come un agglomerato di burocrazia, incertezze e lentezze; la tendenza a rafforzare ulteriormente i legami commerciali con le ex colonie britanniche in tutto il mondo e con gli Stati Uniti; la libertà di gestire la politica economica nazionale in maniera indipendente dalle vicende dell’Europa continentale, senza dover essere vincolati al fiscal compact.
Europa continentale dove ormai soltanto un Paese può continuare a permettersi un certo modello “statalista”: la Germania.
Le conseguenze della Brexit sono di vario tipo, tra le quali: volatilità accentuata sui mercati finanzari (ieri, venerdì 24 giugno, è stata una giornata con profondi rossi sulla maggior parte delle Borse mondiali, che sull’onda emotiva hanno reagito negativamente all’esito del referendum), i diritti di chi non ha la cittadinanza britannica ma vive e lavora in Gran Bretagna, l’assistenza sanitaria in Gran Bretagna, la possibilità di studiare e fare ricerca nelle università inglesi.
Londra diventerà veramente una città-stato come ad esempio Singapore? Difficile dirlo, ma in quest’epoca, di cose sicure ne sono rimaste ben poche.
Chiaramente, alcune cose diventeranno più complicate da fare in Inghilterra. E altrettanto chiaramente, il segnale arrivato dalla Gran Bretagna indica, una volta in più, che l’Europa ha bisogno di una profonda ridefinizione della propria struttura economica e politica. I populismi non sono la soluzione ai problemi del Vecchio Continente.
La comunità italiana in Gran Bretagna è numerosa: circa 500 mila persone. All’interno di questo insieme di persone, ce ne sono parecchie che hanno una attività lavorativa/commerciale con sede legale in Inghilterra o in Galles.
Come è noto, il processo di creazione di una Private Limited Company (Ltd) nel Regno Unito è semplice e rapido: la costituzione di una Ltd richiede semplicemente la registrazione presso il Companies House Register (che corrisponde al Registro delle Imprese in Italia). La società, una volta registrata, ottiene il cosiddetto “certificato di costituzione” (Certificate of Incorporation): un documento in cui si certifica che la società esiste legalmente, riportandone numero e data di costituzione. I costi da sostenere per fare queste pratiche non sono alti.
Il sistema inglese ha degli innegabili vantaggi, tra cui: minori adempimenti burocratici rispetto all’Italia, incentivi fiscali per investimenti nella società, accesso ad un mercato globale dei capitali.
Ma bisogna fare attenzione ad alcuni aspetti.
Infatti, in base alla normativa fiscale vigente in Italia (a meno che non si dimostri il contrario), se la società, seppure formalmente costituita fuori dall’Italia, risulta di fatto gestita da un amministratore fiscalmente residente in Italia o da un consiglio di amministrazione nel quale la maggior parte dei membri è residente nel territorio dello Stato italiano, c’è il rischio concreto che l’Amministrazione Finanziaria italiana consideri la società straniera come “estero-vestita”. Con possibili conseguenze penali per l’amministratore e i membri del consiglio d’amministrazione.
La Brexit ha innescato una serie di conseguenze nella vita civile, economica, politica dell’Europa, che devono essere affrontate tenendo conto di come si sta sviluppando il mondo del XXI secolo.