Convegno La finanza islamica in Italia: dalle parole ai fatti. Da sinistra: Stefano Padovani (responsabile Dipartimento Diritto Bancario e Finanziario, Studio Legale NCTM), Tarik Malaika (Program Lead, Sukuk and Capital Markets, Advisory, ICD), Alberto Toffoletto (Senior Partner Studio Legale NCTM), Maria Alessandra Freni (Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria, Banca d’Italia), Stefano Loconte (coordinatore del gruppo di lavoro della Commissione Finanze della Camera dei Deputati per la riforma della fiscalità della finanza islamica in Italia). Roma, sede dello Studio Legale NCTM, Palazzo del Collegio Scozzese, 18 luglio 2016.
Il rapporto tra il mondo della finanza islamica e l’economia italiana è in corso di sviluppo (ne avevo scritto qui, qualche giorno fa su questo NòvaBlog). Se ne è parlato oggi pomeriggio a Roma, durante il convegno La finanza islamica in Italia: dalle parole ai fatti, svoltosi nella sede romana dello Studio Legale NCTM (sede principale a Milano, altre sedi a Londra, Bruxelles, Shanghai), specializzato in Diritto d’Impresa e inserito dal Financial Times fra i cinquanta studi legali più innovativi del mondo.
Vincenzo Amendola, sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri con delega al Medio Oriente, ha affermato: “Dobbiamo costruire ponti di relazione politica, economica e commerciale con il Medio Oriente, usando strumenti nuovi. La macro regione del Medio Oriente e del Nord Africa è un’area in crescita, e dobbiamo parlare non soltanto di Made in Italy ma anche e soprattutto di Made with Italy”.
Stefano Loconte, coordinatore del gruppo di lavoro della Commissione Finanze della Camera dei Deputati per la riforma della fiscalità della finanza islamica in Italia, ha dichiarato: “Per quanto riguarda la finanza islamica, c’è una questione relativa alla doppia imposizione fiscale. Abbiamo individuato strumenti normativi e fiscali che costituiscono un modello al quale ci atterremo, basato più sulla sostanza che sulla forma. Dopo l’estate, presenteremo il lavoro svolto dal nostro gruppo“.
Maria Alessandra Freni, Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia, ha puntualizzato: “La costituzione di banche islamiche in Italia deve avvenire in un contesto di integrazione con la finanza tradizionale. Nella prospettiva del Regolatore, le banche islamiche hanno i rischi connessi alle banche tradizionali e i rischi loro propri. Le banche italiane devono dotarsi di personale esperto in finanza islamica. L’operatività delle banche islamiche dovrà soddisfare i requisiti prudenziali previsti anche per le banche italiane“.
Stefano Padovani, responsabile Dipartimento Diritto Bancario e Finanziario, Studio Legale NCTM, ha sottolineato: “Sono necessarie alcune iniziative mirate, tre in particolare: l’aggiornamento della normativa fiscale, sulla quale sta lavorando il gruppo di esperti alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati; la creazione della prima banca islamica; l’emissione di sukuk [certificati di investimento conformi alla Sharia, paragonabili alle obbligazioni, Ndr] da parte della Repubblica Italiana. Un’apertura alla finanza islamica può essere un modo per attrarre l’interesse di un mondo di investitori che in Europa ha sempre guardato, finora, soprattutto a Londra. Un’emissione di sukuk della Repubblica Italiana, realizzabile con un intervento normativo leggero, anche nell’ambito della prossima legge di Stabilità, può essere un modo semplice e concreto per dare un segnale forte di attenzione al mondo finanziario islamico”.
La discussione, dunque, è aperta.
D’altra parte, la stima del valore nozionale dei contratti derivati nel mondo è di 550 mila miliardi di dollari, ossia otto volte il Prodotto Interno Lordo mondiale. E la finanza islamica è molto più collegata all’economia reale rispetto alla finanza ultra speculativa. Inoltre, nella finanza islamica non si può vendere ciò che non si possiede, e non c’è profitto senza compartecipazione al rischio d’impresa. Dal 2014, inoltre, è in corso una crisi petrolifera, e gli investitori islamici stanno spostando gli investimenti dalle economie locali verso l’Europa, gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali, privilegiando le aree Islamic Finance Friendly.
La finanza islamica cresce a livello mondiale con tassi del 15-20 per cento annuo, e nel 2014 ha raggiunto un valore complessivo di 1,9 trilioni di dollari.
Lo sviluppo e la regolamentazione della finanza islamica in Italia possono essere anche una opportunità per sostenere finanziariamente la crescita del tessuto produttivo nazionale, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese italiane.
L’Italia, con la presenza di circa 1,5 milioni di residenti musulmani e con una posizione geografica che è un ponte naturale tra Europa e mondo arabo, può cogliere opportunità dallo scenario geopolitico ed economico di questi anni. Anche in considerazione del crescente interesse degli investitori dei Paesi a maggioranza musulmana verso settori in cui le PMI italiane hanno qualità e competitività, come ad esempio le aree del lusso, della meccanica di precisione, della gastronomia, del design, della moda, delle infrastrutture e del real estate.