Il rapporto fra tecnologia e finanza è destinato a diventare sempre più stretto.
Non soltanto per via degli avvenimenti che stanno investendo il settore bancario tradizionale in questo decennio, ma anche perché il rapporto fra le persone e il denaro sarà mediato sempre più dalle tecnologie e dai servizi/prodotti finanziari che si possono trovare in Rete.
Si tratta di una grande area, di cui il pubblico generalista inizia a scorgere qualcosa, mentre gli addetti ai lavori hanno una prospettiva più precisa.
Una buona lettura introduttiva su questi temi è il libro di Roberto Ferrari, L’Era del FinTech. La rivoluzione digitale nei servizi finanziari, Franco Angeli editore, 2016. L’autore è direttore generale di Che Banca! (banca digitale e retail del Gruppo Mediobanca), e nel libro si usa una prospettiva storica, a partire dal 1950, per mostrare lo sviluppo dell’industria finanziaria, con particolare riferimento ai temi del presente e del futuro del settore, come ad esempio i pagamenti fatti in modalità mobile, il peer to peer lending, gli investimenti fatti tramite robo-advisors e l’intelligenza artificiale, il FinTech per i piccoli business, il crowdfunding, l’internet banking, la blockchain, il bitcoin.
Attualmente, sono 115 le startups del FinTech in Italia, secondo dati riportati dal Sole 24 Ore. Chiaramente, per i risparmiatori italiani è sempre più forte l’esigenza di accedere a servizi finanziari che diano rendimenti interessanti e abbiano costi accettabili. Con le possibilità che la tecnologia sta aprendo in questi anni, i margini di sviluppo sono notevoli.
Tra i temi più discussi nel mondo del FinTech in questi anni, c’è anche il Bitcoin: ossia una moneta virtuale in grado di “sostituire” le valute tradizionali.
Secondo uno studio, aggiornato a quest’anno, dello Swift Institute (società indipendente, con sede principale in Belgio, specializzata in servizi e ricerche per il settore finanziario), il Bitcoin non rimpiazzerà le monete tradizionali.
Lo studio – intitolato Virtual Currencies: Media of Exchange or Speculative Assets? – è stato condotto da tre esperti internazionali: Dirk G. Baur, UWA Business School; KiHoon Hong, Hongik University College of Business (South Korea); Adrian D. Lee, University of Technology Sydney (Australia). Tra le principali evidenze emerse: è improbabile che le valute virtuali possano provocare una riduzione nell’utilizzo delle monete a corso legale; il Bitcoin è utilizzato prevalentemente come investimento speculativo; non esiste alcuna correlazione tra Bitcoin e asset class tradizionali; le valute virtuali non rappresentano un rischio macroeconomico nell’immediato.
KiHoon Hong (Hongik University College of Business) afferma: “Il Bitcoin, praticamente, non ha impatto sulla stabilità finanziaria e monetaria. Tuttavia, se l’utilizzo del Bitcoin o di qualunque altra valuta virtuale dovesse crescere significativamente su scala globale, saranno necessarie riflessioni sul ruolo della politica monetaria. Le valute virtuali,essendo per natura decentralizzate e indipendenti, rendono difficoltosa la vigilanza da parte delle autorità”.
Il panorama del FinTech è più che mai in evoluzione.