Per centinaia di milioni di persone nel mondo, pagare gli acquisti tramite denaro contante è una consuetudine ben radicata.
Ma nel lungo periodo, l’utilizzo di banconote e monete procura danni all’economia reale. Ed è necessario abolire, gradualmente, il denaro contante, con l’eccezione dei piccoli tagli.
Quella che potrebbe sembrare una tesi provocatoria è invece il nucleo del libro La fine dei soldi. Una proposta per limitare i danni del denaro contante di Kenneth S. Rogoff, classe 1953, docente di Politiche Pubbliche alla Harvard University (Usa), già capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale. L’edizione italiana di questo libro è pubblicata dalla casa editrice il Saggiatore e sarà disponibile dal 22 giugno 2017 in Italia (pp. 336, 23 euro).
Secondo Rogoff, l’eccesso di denaro contante contribuisce in modo decisivo a rendere il mondo più povero, più iniquo e meno sicuro: pone grandi limiti alle politiche monetarie, favorisce l’evasione fiscale e il lavoro nero, e rappresenta un regalo alla criminalità organizzata e al terrorismo.
In base alle statistiche riportate nel libro, al giorno d’oggi circolano 3.200 euro in contanti per ogni cittadino europeo, e 4.200 dollari per ogni cittadino statunitense, quasi tutti in banconote di grosso taglio. Di questa enorme quantità di cartamoneta, soltanto il 10 per cento (se non meno), viene utilizzato per i normali acquisti di individui e famiglie; tutto il resto si perde nei meandri dell’economia sommersa.
La soluzione proposta da Rogoff si basa sulla graduale abolizione della cartamoneta, con l’eccezione dei piccoli tagli. Questo fatto prosciugherebbe il bacino in cui vive e prolifera l’economia illegale, e soprattutto permetterebbe alle Banche Centrali di fissare tassi d’interessi negativi senza correre il rischio di una corsa al contante: si tratta di uno strumento di politica monetaria decisivo – eppure indisponibile, fino ad oggi – per stimolare gli investimenti e i consumi nei periodi di recessione.
Certamente, il libro di Rogoff pone questioni importanti: rapporto fra economia reale e denaro contante, decisioni di politica monetaria, tassi d’interesse, investimenti e consumi. Con una tesi apparentemente provocatoria ma che potrebbe non essere così irreale.