Il caso dell’infedele Klara e appunti sulla gelosia

Stamattina sono andato alla Casa del Cinema di Roma, ad un incontro di anteprima del film Il caso dell'infedele Klara di Roberto Faenza. L'opera, in uscita il 27 marzo, è stata ispirata dal romanzo Il caso dell'infedele Klara di Michal Viewegh (Instar Libri) e oggi si è svolta una tavola rotonda sul tema della gelosia, filo conduttore del film.

La gelosia, tema delicato che tocca la sensibilità personale.

Lo psichiatra Raffaele Morelli, presidente dell'Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, ha aperto e coordinato i lavori domandandosi:"La gelosia è un demone negativo oppure può migliorare noi stessi?"

La parola è passata a Roberto Faenza, regista e docente universitario:"Questo film, tutto sommato, è un gioco. La gelosia è parte dell'amore. Volevo realizzare questo film da molti anni e ho cercato di fare un film anche ironico".

In seguito, è stata resa nota una ricerca realizzata ad hoc per il film, illustrata da Gabriele Sabatino, membro del team del portale www.cinemonitor.it (di cui avevo scritto qui). La ricerca ha preso in esame i giovani di tre scuole superiori, distribuite al Centro, al Sud e al Nord. Frai dati, è emerso che non dichiara vergogna per la propria gelosia il 90% degli oltre 900 soggetti del campione.

Chiara Gamberale, scrittrice, autrice e conduttrice radiofonica e televisiva, ha sostenuto:"Siamo nella società del narcisismo. Quando la gelosia prende il soprravvento nel rapporto, la situazione diventa preoccupante. I nuovi mezzi tecnologici hanno aumentato la gelosia? No, hanno trasportato la questione su un altro piano ma non l'hanno aumentata".

Lo scrittore e critico letterario Giorgio Montefoschi ha commentato:"La gelosia esiste, è un sentimento archetipico dell'animo umano, riguarda il corpo e anche la dimensione vouyeristica. Il film di Faenza ha due registri: quello del gioco e quello della concretezza, e non manca una parte torbida".

L'attrice e scrittrice Piera Degli Esposti ha notato:"Dalla gelosia non si guarisce. Ho apprezzato il gioco crudele ma leggero di Faenza: nel film ci sono più generi: il giallo, il rosa, il nero".

Pier Luigi Celli, amministratore delegato e direttore generale dell'Università LUISS, ha spiegato:"Il problema della gelosia legata al potere è l'unicità: il geloso vuole essere unico. La forma più compiuta di gelosia è la dittatura: questa metafora è valida anche nel mondo aziendale. C'è, inoltre, la gelosia di chi tende a stabilire un rapporto unico col capo. I capi sanno fare un uso potente della gelosia, applicando il principio del 'divide et impera'. In azienda, la fedeltà non è mai un valore, anzi genera mostri".

Sono poi intervenuti gli attori Claudio Santamaria e Laura Chiatti, protagonisti del film.
Laura Chiatti ha affermato:"La gelosia porta all'autodistruzione di sé e dell'altro. E' qualcosa che può essere affrontato ma non curato. Io non potrei mai convivere con una persona non gelosa".
Claudio Santamaria ha dichiarato:"Io sono gelosissimo, ma la forza del pensiero lavora ed agisce sulla realtà. Ironizzare sulla gelosia può essere un modo per viverla meglio. Non potrei convivere con una persona gelosa".

Donato Carrisi, autore di sceneggiature per il cinema e la televisione e specializzato in criminologia, ha riflettuto:"Il film di Roberto Faenza costringe a pensare. La gelosia è l'unico sentimento umano che non trova soluzione. E solitamente la gelosia viene fatta scontare al compagno successivo".

In sala era presente anche un investigatore privato, Elio Petroni, che ha raccontato alcune parti del suo lavoro:"Ci sono persone che hanno paura di leggere la relazione finale del mio lavoro. La gelosia termina nel momento in cui si ha la certezza della prova. I telefoni cellulari hanno fatto strage di coppie. Nel film viene fatto uso di pervasivi strumenti tecnologici di controllo, che in Italia non è possibile utilizzare per via dei reati penali in cui si incorrerebbe".

Alessandro Bergonzoni, autore ed attore teatrale, ha concluso la tavola rotonda:"Credo che la gelosia degli uomini abbia fatto un po' il suo tempo. Si parla tanto di certezza della pena ma a me fa un po' pena la certezza. La mia donna sono io. Vedrò il film ma prima o poi vorrei anche vedere un film che guardi me. Il peccato è sempre esistito e sarebbe un peccato se non esistesse".

Al termine dell'incontro, c'è stata occasione per un breve colloquio con il regista Roberto Faenza e gli attori Claudio Santamaria e Laura Chiatti.

@ Roberto Faenza. Quali sono state le difficoltà e le soddisfazioni nel fare questo film? Le difficoltà non sono state molte, nel senso che nel momento in cui abbiamo deciso di farlo siamo riusciti a metterlo in piedi. Per quanto riguarda le soddisfazioni, penso che sia una cosa importante quando un film fa crescere qualcosa attorno a sé, perché oggi i film escono, stanno in sala due o tre settimane e poi spariscono. Invece è importante cercare di creare un volàno attorno: quindi far parlare di cose che sono dentro ad un film è il modo migliore per far vivere i film più a lungo di quanto non vivano soltanto nelle sale, ed in questo è la mia soddisfazione.

@ Claudio Santamaria. Hai fatto cinema, teatro, doppiaggio cinematografico. Quali sono le differenze e le similitudini tra i lavori che hai interpretato? Sicuramente i mezzi sono diversi, è un fatto tecnico. Il teatro rispetta il percorso di un personaggio che segue un tragitto lineare dall'inizio alla fine di una rappresentazione e che soprattutto ha un rapporto diretto con un pubblico ogni sera diverso, quindi ha una energia ogni sera diversa e c'è la possibilità di rinnovare lo spettacolo ogni sera in un modo diverso. Penso che il cinema sia molto più complesso e complicato perché la tua emozione è vissuta a salti, magari puoi iniziare dall'ultima scena e andare avanti e indietro. Poi il modo di lavorare è diverso perché in teatro tutto il tuo corpo è costantemente visibile: è proprio un fatto di tecnica vocale e fisica, e anche di lavorare con tutto il corpo. Il doppiaggio è anch'esso difficile perché è un dover rifare una scena senza essere sul luogo, senza aver studiato un testo e un personaggio, cercando di ricreare quello che vedi sullo schermo anche attraverso il corpo. Al doppiaggio cerco di riprodurre fisicamente quello che vedo perché è l'unico modo per far vibrare la voce in un contesto.

@ Laura Chiatti. Hai iniziato molto giovane con la televisione e con la pubblicità. Come è stato il passaggio al mondo del cinema? E' stato un qualcosa di automatico: in realtà non ho mai avuto modo di focalizzare il passaggio, anche perché ho continuato a coltivare lavori a livello televisivo. Il cinema ti dà la possibilità di lavorare di più sui personaggi, ci sono tempi più tranquilli rispetto alla televisione, ma ci sono comunque dei prodotti bellissimi sia per quanto riguarda il cinema che la televisione.