Un caffè con… Alessandra Masolini

Sesto colloquio per il ciclo 2010 di Un caffè con…


Alessandra Masolini Alessandra Masolini è fondatrice e direttrice di SharpCut – Visual Arts Project. Si occupa della promozione dell'arte e della cultura italiane in Gran Bretagna e coordina progetti d'arte contemporanea per manifestazioni internazionali, tra cui le Olimpiadi di Londra 2012 e l'Expo di Milano 2015. Dal 2007, vive a Londra, dove si occupa anche di management di eventi e public relations per clienti privati ed aziendali. In Italia, ha lavorato presso Enterprise Digital Architects e Club Culture Booking Agency.

Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Cultural Studies tra l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e la State University of New York. Napoletana, ha vissuto anche a Roma, Barcellona e New York.

 

 

 

Quali soddisfazioni e difficoltà hai avuto durante questi primi tre anni di SharpCut? Le difficoltà maggiori sono state quelle di entrare in contatto con le istituzioni locali e farmi rispettare come professionista. Ci vuole tempo per farsi conoscere: Londra è una piazza molto competitiva ed è necessario tempo per creare un rapporto di fiducia. Ma, grazie soprattutto a questo premio che ho fondato all'Istituto Italiano di Cultura, sono riuscita a creare una maggiore fiducia attorno a me. La prima edizione è stata supportata prettamente da istituzioni e sponsors italiani, la seconda e la terza hanno visto l'interesse della Tate Modern Gallery e successivamente della Photographers' Gallery. SharpCut è un progetto mirato ai giovani e allo scambio fra artisti italiani under 35 ed inglesi. Tramite il premio, vengono selezionati videoartisti e fotografi che operano tra Italia ed Inghilterra, con qualunque background: ciò che conta è che siano residenti in Italia o nel Regno Unito. Una giuria internazionale, che negli anni si è arricchita di membri dell'Arts Council England e del British Film Institute, seleziona i vincitori. Gli artisti non italiani selezionati vengono invitati ad una particolare residenza d'artista  in Toscana, per condurre progetti specifici sul territorio: tutto ciò serve ad arricchire il loro background, e successivamente questa esperienza viene riportata in Inghilterra.

Dal tuo osservatorio, quali modi vedi per comunicare l'arte in maniera innovativa? Bisogna cercare di non creare ghetti: è un modo che sto cercando di far funzionare e che qui in Gran Bretagna ha già preso piede, in Italia ancora non molto. A volte, il mondo dell'arte può sembrare chiuso in una torre d'avorio e non comunica con le aziende e con il tessuto sociale. Quasi tutti i progetti che seguo hanno un risvolto sul lato sociale: per me, la fotografia e la video arte sono importanti perché sono arti facilmente fruibili da chi non ha conoscenze tecniche o non ha un gusto sviluppato per la pittura o la scultura, che vengono ritenute fine arts. Cerco di fare arte di tipo documentario e di lavorare con artisti che indagano il tessuto sociale. Ad esempio, sto sviluppando un progetto sul nuoto nato da uno schema del precedente governo inglese, laburista, che aveva dato accesso gratuito al nuoto ad anziani e bambini. A partire da questo: videointerviste fatte da artisti per capire se e come questa iniziativa pubblica abbia cambiato il rapporto con l'acqua ad anziani e bambini. E poi il passo successivo: coinvolgere istituzioni e sponsors per il finanziamento.

Il tuo lavoro consiste anche nel trovare aziende italiane ed inglesi interessate a promuovere eventi ed iniziative legate all'arte contemporanea. Come ci si deve muovere su questo terreno di confine? E' molto complesso muoversi in un modo che sia allo stesso tempo rispettoso della libertà creativa degli artisti e appetibile per chi debba investire denaro, beni e servizi. Illy è una azienda italiana storicamente interessata all'arte e l'anno scorso è stata coinvolta nel premio di SharpCut. Nell'approccio con le aziende, è importante avere una logica: bisogna strutturare efficacemente il progetto, in modo che sia compatibile per entrambi i mondi.

Attualmente, quali sono le principali direzioni del panorama artistico londinese? La risposta è molto difficile. Vedo grande attività da parte di studenti e piccoli collettivi di artisti nel prendere zone in disuso – c'erano anche schemi particolari di finanziamento per queste aree -, vecchi negozi ed edifici inutilizzati in zone non molto frequentate, e fare lì progetti d'arte temporanea, come ad esempio installazioni sul luogo. Trovo che questo modo di agire porti l'arte sul territorio e aiuti aree di Londra che solitamente non vengono a contatto con il mondo dell'arte e delle gallerie.

Come viene considerata la cultura italiana in Gran Bretagna? A Londra, purtroppo, arriva poco l'arte italiana attuale. C'è molta conoscenza dell'arte italiana dei secoli scorsi ma, a livello di pubblico generale, c'è poca attenzione sulle nuove tendenze italiane. Non è interamente responsabilità degli inglesi: l'Italia investe poco nell'esportare i giovani, ed importa molta arte dall'estero: i galleristi italiani investono moltissimo nel cercare di portare nuove tendenze in Italia, ma sono poche le istituzioni che appoggiano gli artisti italiani che cercano di andare all'estero. Ad esempio, un settore creativo come la moda coinvolge interessi economici che portano ad una più facile esportazione, ma per i giovani artisti italiani è difficile essere conosciuti all'estero. Di conseguenza, la cultura italiana arriva molto per ciò che è moda, cibo, arte "alta", musica, e poco nell'area delle nuove tendenze artistiche".

Hai vissuto in varie città. Cosa ti è rimasto dentro finora? New York ha un'energia spettacolare: ero lì durante gli anni del mio Dottorato ed è stato un luogo in cui ho intercettato mille opportunità e mille interferenze tra varie culture. E' uno di quei posti magici in cui, all'epoca, sembrava che tutto potesse succedere appena girato l'angolo. In parte e in forma più discreta,  ho ritrovato questa energia a Berlino, dove vado spesso. Londra è una città meno ovvia: c'è tutto ma è meno in your face, meno davanti ai tuoi occhi. E' un luogo più complesso da scoprire e ci vuole tempo, inoltre Londra mi ha insegnato molta umiltà nell'approccio umano: è necessario un maggiore understatement rispetto a quello che abbiamo noi italiani, o gli americani, nell'approcciarsi alle situazioni. Qui prima dicono: dimostrami come fai le cose, e dunque è necessaria una preparazione solida.