Euro: dentro o fuori?

Euro_coins

"Bond. Eurobond". Parafrasando la celebre battuta ("Bond. James Bond") pronunciata da Sean Connery nei film degli anni Sessanta in cui interpretava l'agente segreto 007 (James Bond, appunto), non si può fare a meno di notare come il significato della parola bond sia mutato negli ultimi decenni.

Ieri, nell'immaginario collettivo, indicava uno dei personaggi più affascinanti nella storia del cinema. In tempi più recenti, il pubblico ha progressivamente imparato ad associare il termine bond ad uno strumento d'investimento (le obbligazioni). Oggi, il termine eurobond definisce una delle misure economiche d'emergenza di cui si discute per salvare l'economia europea.

Queste sono giornate cruciali per il futuro economico dell'Europa, con un susseguirsi di vertici fra i capi di governo europei per cercare di evitare il default di alcuni paesi dell'area euro: Grecia in primis, e con preoccupazioni anche per Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda. Ma, in realtà, sono coinvolti tutti i paesi europei che hanno adottato l'euro come moneta nazionale.

L'Unione Europea è composta di 27 paesi membri e i paesi dove è in vigore l'euro sono 17. Per via dei processi storici iniziati con la caduta del Muro di Berlino, negli ultimi anni l'Unione Europea ha incluso nella sua struttura vari paesi dell'Est europeo, sommando le caratteristiche dei membri storici con quelle dei nuovi arrivati. Abbiamo oggi, dunque, 27 paesi con 27 economie diverse e 27 strutture politiche differenti (con il minimo comune denominatore della forma democratica). Se l'unione politica è stata un processo relativamente semplice, lo stesso non può dirsi per quanto riguarda l'unione economica.

Gli stati europei sono alle prese con la difficile gestione di una crisi economica in cui il debito ha assunto proporzioni mai viste in precedenza e l'eccessiva finanziarizzazione dell'economia ha prodotto risultati devastanti sull'economia reale. Tra i 17 paesi che usano l'euro, la Germania e la Francia rappresentano le economie più influenti e i loro leader politici stanno discutendo, ormai da qualche tempo, su cosa fare per evitare il fallimento dello Stato greco e rimettere in carreggiata l'economia dell'eurozona. Le posizioni di partenza sono diverse ed è auspicabile che si arrivi ad un accordo ragionevole in tempi brevi. Quel che è certo, è che per mantenere in vita l'euro e risollevare le sorti dell'Europa, sono e saranno necessari sacrifici consistenti. Dopo decenni di vacche grasse, è arrivato il tempo delle vacche magre, e a pagarne le spese sono ora soprattutto le generazioni più giovani. Ed è un paradosso, poiché i giovani, in buona parte, sono portatori di un elemento fondamentale per far ripartire l'Europa: l'innovazione. Innovazione che va gestita con lungimiranza.

Stiamo vivendo anni storici e il malcontento giovanile di questo periodo storico è palpabile: indignados in Europa, Occupy Wall Street negli Stati Uniti, in forma diversa i giovani della primavera araba. Disordini (e, nei casi peggiori, violenza) che i sistemi democratici o autoritari faticano ad arginare.

In Europa, c'è un paese che storicamente non desidera essere troppo coinvolto nelle vicende continentali, pur osservandole con attenzione. Si tratta della Gran Bretagna: paese appartenente all'Unione Europea ma che non aderisce all'euro, poiché preferisce rimanere con la sua moneta storica (il pound, in italiano: sterlina).

Ora, arriva dal Regno Unito una notizia che dà la misura dell'attuale situazione di incertezza nel Vecchio Continente (magari con una punta di britannica perfidia, penseranno i più maliziosi).

Policy Exchange è un think-tank indipendente, basato a Londra e attivo soprattutto in ricerche su economia e politiche pubbliche. Recentemente, ha lanciato un premio – il Wolfson Economics Prize – rivolto agli economisti accademici di tutto il mondo e per partecipare bisogna rispondere alla domanda: come andrebbe gestita l'uscita dall'euro di un paese che finora ne ha fatto parte?

Il premio – istituito una tantum – ammonta a 250 mila sterline e si può partecipare fino al 31 gennaio 2012. A sponsorizzare l'iniziativa: Lord Wolfson of Aspley Guise (membro della Camera dei Lord del Parlamento inglese, fiduciario del Policy Exchange e del Charles Wolfson Charitable Trust). Le proposte saranno valutate da un panel di economisti accademici di livello internazionale e il processo di assegnazione del premio sarà gestito da Policy Exchange.

Si potrebbe pensare che questa sia una ulteriore prova del "tradizionale" scetticismo britannico nei confronti dell'Europa. Ma, con pragmatismo anglosassone, l'intento del premio – come dichiarato da Lord Wolfson – è quello di incentivare le migliori menti mondiali a produrre idee su come gestire l'uscita, non auspicabile, di un paese dall'eurozona, in modo da avere soluzioni per evitare il caos economico e sociale in Europa.

Il bando del premio è disponibile in: inglese, francese, tedesco, spagnolo, italiano, greco.

Scarica 'Wolfson Economics' Prize – Deadline january, 31, 2012 – English Language

Scarica Premio 'Wolfson Economics' – scadenza 31 gennaio 2012 – Lingua Italiana