Nell’immagine: Simone Legno (nome d’arte: Tokidoki), illustratore e designer italiano, residente a Los Angeles.
Ci sono settori del design che a volte sono poco conosciuti, come il toy design.
E il toy design è al centro della mostra NOT AN ARTIST – Toyboyz Edition all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, dal 7 giugno 2018 al 2 novembre 2018 (scadenza prorogata rispetto a quella precedente del 21 settembre 2018), 1023 Hilgard Avenue, Los Angeles, CA 90024, ingresso libero.
L’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, fondato nel 1984, si occupa della promozione della cultura italiana in California meridionale, Nevada, Arizona, Nuovo Messico, Texas, Arkansas, Oklahoma e Louisiana. Diretto dal 2015 da Valeria Rumori, l’Istituto promuove la lingua italiana attraverso corsi di lingua e manifestazioni in collaborazione con numerose istituzioni locali, con l’obiettivo di presentare l’Italia in tutta la sua ricchezza culturale: architettura, cinema, design, letteratura, musica, scienza, tecnologia, teatro e arti visive.
Questa mostra, realizzata in collaborazione con IED – Istituto Europeo di Design, indaga il fenomeno artistico del Toy Design come simbolo dell’ibridazione tra diverse discipline, attraverso il lavoro di quattro creativi: Fidia Falaschetti, Joe Ledbetter/J.Led, Massimo Giacon, Simone Legno/Tokidoki.
I lavori in mostra mettono in luce i legami con diverse discipline creative, i modelli di business e le connessioni con le aziende di design come Alessi, Ikea, Kartell, e le relazioni tra Italia e Stati Uniti.
NOT AN ARTIST è un progetto di ricerca internazionale condotto da IED – Istituto Europeo di Design, a cura di Jacopo Manganiello e Igor Zanti. Il progetto traccia l’evoluzione delle figure professionali nell’arte e nella cultura contemporanee, delineando l’evoluzione delle carriere legate all’arte.
Come spiega Igor Zanti: «Non c’è una data precisa che segni la nascita di quella che potremmo definire “toy culture”, sebbene si possano porre le sue origini agli inizi degli anni Novanta nell’area di Hong Kong. Ed è proprio nell’ex enclave britannico, ideale ponte culturale tra Oriente ed Occidente, che sembra partire l’onda lunga, la new wave della toy culture e di quelli che vengono definiti come toys designers. Questo tipo di produzione, che si pone a metà strada tra scultura, product design e merchandising, si nutre e cresce su differenti sedimenti: da una parte l’influenza della street art e della cultura visiva della West Coast americana, dall’altra, un rapporto molto forte con l’universo manga, con l’esperienza degli otaku – giovani ossessivamente appassionati di manga, anime e tecnologia – e con le sottoculture di origine orientale sviluppatesi tra Giappone e Corea del Sud. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di profonda ibridazione culturale, dove elementi di quella che potrebbe essere definita la cultura alta si fondono con istanze più tradizionalmente legate a quelle che vengono, definite in maniera ingenerosa, come sottoculture. Il toy stesso come oggetto, che assume una dimensione di collezionismo e, di conseguenza, di feticcio, sembra fondere al suo interno diverse origini: urban vinyl, resin toys, designer plush hanno, infatti, una origine comune con la produzione di giocattoli e bambole per l’infanzia ma si ibridano in maniera evidente incontrando il product design, il graphic design e il fashion design».
«La scelta degli artisti e designers in mostra – prosegue Zanti – è esemplificativa proprio di questo percorso ondivago tra discipline differenti. Sono state infatti individuate delle personalità complesse che possono offrire con il loro lavoro una panoramica, seppur parziale, di quello che significa produrre toy e di quali siano le implicazioni culturali di questo tipo di produzione artistica. Se da un lato la ricerca di Fidia Falaschetti pare apparire quella più marcatamente “artistica”, con un’ispirazione fortemente new pop, dove la dimensione del toy viene sublimata nella scultura di disneyana memoria o nella filologica ricerca sul cavalluccio a dondolo, introducendo una dimensione profondamente e marcatamente ludica che diviene cifra stilistica del suo lavoro, dall’altra, Simone Legno pare essere la personalità che maggiormente si identifica con la toy culture nella sua accezione più tradizionale. Ed è proprio la produzione di Legno a darci il segno della complessità di questo universo ibrido e ibridante. A Legno, in arte Tokidoki, si deve infatti una produzione a 360 gradi con interventi che vanno dall’abbigliamento, all’arredamento, dalla direzione artistica per campagne promozionali, alla realizzazione di concept visivi per hotel e negozi, non tralasciando interventi marcatamente street e urban. Tokidoki diventa di conseguenza un universo di produzioni che si relazionano in maniera spontanea e continua con il design, con la comunicazione visiva, il marketing, senza nessuna necessità di stabilire confini tra le varie discipline».