La trilogia dei film di “Smetto quando voglio” e l’arte di reinventarsi la vita

Nell’immagine: alcuni degli attori interpreti della trilogia di film Smetto quando voglio.

In questi giorni, nei cinema italiani viene proiettato il film Smetto quando voglio – ad honorem, diretto da Sidney Sibilia (classe 1981).

Si tratta del terzo film della trilogia di Smetto quando voglio: il primo film, intitolato Smetto quando voglio, è uscito al cinema nel 2014. Il sequel, intitolato Smetto quando voglio – Masterclass, è arrivato nelle sale cinematografiche a febbraio 2017. In tutti e tre i film, la regia è di Sidney Sibilia.

Questi tre film corali (genere: commedia d’azione) iniziano da un fatto reale: l’impossibilità del sistema universitario italiano di garantire un futuro a tutti i giovani ricercatori. Da questa amara consapevolezza, prende il via la narrazione cinematografica: alcuni giovani ricercatori rimangono disoccupati perché la loro università non ha denaro per pagarli. Per sbarcare il lunario, questi ricercatori creano una banda – chiamata la banda dei ricercatori – che produce e vende smart drugs (“droghe intelligenti”).

Per cause di forza maggiore, i buoni si trasformano dunque in cattivi, ma per loro si tratta di una “occupazione” temporanea: appena arriveranno tempi migliori, potranno smettere questa attività.

Il pregio di questa sceneggiatura è quello di scegliere il lato ironico per raccontare una vicenda amara. Ovviamente, nei tre film non mancano altri personaggi, come le forze dell’ordine, il “nemico” che vuole dominare il mercato delle smart drugs (Er Murena, interpretato da Neri Marcorè), l’avvocato che tenta di difendere legalmente i membri della banda.

Nei tre film, si ride spesso, osservando le peripezie di questi tranquilli studiosi alle prese con la loro nuova vita, fatta di attività criminali, problemi con la giustizia, e vicende sentimentali.

Dopo essere stati arrestati ed essere stati rinchiusi in penitenziari diversi, nel terzo film la banda riesce a riunirsi.

Stavolta, bisogna fermare un ex professore che, a causa di tagli ai finanziamenti per la sicurezza nel tecnopolo dove lavorava, ha visto morire la donna amata in un incidente di laboratorio, ed è diventato un criminale ossessionato dal desiderio di vendetta contro l’istituzione universitaria. Per concretizzare la vendetta, l’ex professore Walter Mercurio (interpretato da Luigi Lo Cascio) progetta di usare il gas nervino per fare una strage durante una importante cerimonia nell’aula magna dell’Università La Sapienza di Roma.

La banda capitanata dal neurobiologo Pietro Zinni (interpretato da Edoardo Leo) decide di sventare l’attentato pianificato da Mercurio, e in maniera comica riesce ad evadere dal carcere romano di Rebibbia.

Nel frattempo, l’intuitiva poliziotta che in passato si era occupata della banda dei ricercatori capisce che sta succedendo qualcosa, e si mette in moto.

Si arriva, dunque, al gran finale, nel terzo film. All’ultimo momento, la banda riesce a sventare l’attentato, e la trilogia si conclude con un “qualcosa ci inventiamo nella vita”.

L’arte italiana di arrangiarsi ha origini antiche, e continuerà ad esistere.

Gli aspetti interessanti di questa trilogia d’azione sono la freschezza narrativa e la capacità di affrontare la precarietà lavorativa ed esistenziale in maniera ironica (senza perdere troppo di vista il senso della realtà).