Riceviamo e pubblichiamo.
Caro Giorgio Napolitano
Presidente della Repubblica Italiana,
un tempo, nel tempo del PCI, ci siamo dati il tu comunista e poi, passati gli anni e percorsi destini non poco diversi, con lei ho potuto conservare il tu amicale, e quindi, se ora le scrivo dandole il lei che segna la deferenza di un cittadino nei confronti del suo Presidente della Repubblica, è perché intendo dare a questa mia lettera il massimo di solennità possibile nella sincera speranza che leggendola, sia il Presidente a sentirsi investito della responsabilità di esprimersi sulla drammaticità del problema in essa sollevato.
In questi giorni lo Stato sta portando a termine la distruzione dell’università e in particolare delle facoltà alle quali il nostro Paese ha storicamente affidato ricerca, formazione e produzione del pensiero artistico, storico, letterario, filosofico, antropologico e sociologico. E via dicendo. Insomma, tutto ciò che usualmente si dice “scienze umanistiche”. Il crimine viene compiuto da una macchina burocratica messa in moto dagli ultimi governi, nel culto di una meritocrazia senza traccia di contenuti, e con un enorme dispendio economico, davvero paradossale a fronte dei tagli imposti dallo Stato all’Istruzione. Questa macchina ammazza-università ha per braccio armato l'ANVUR (Agenzia di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca): è stata istituita nel 2010 e il 2 Maggio 2011 si è insediata nel MIUR in Piazzale Kennedy, 20 a Roma.
Caro Presidente, fermi questo atto! Se non ha il potere di farlo, lo metta in discussione con tutta la sua autorità. Non permetta che i doveri pubblici del suo alto mandato si facciano complici di un episodio che rischia di segnare il definitivo degrado della qualità – già non poco afflitta – delle nostre élite e dei nostri professionisti. Badi bene: parlo di irreversibile rovina delle loro qualità morali e etiche ancor più che culturali.
Aggravato com’è nel suo ruolo e nella sua persona dalle terribili questioni che affliggono gli italiani, mi potrebbe rispondere che questo mio appello è solo uno tra i tanti ai quali tentano di fare fronte, lei compreso, quel poco di politici dabbene ancora in ruolo. Mi potrebbe dire che il tracollo dell’università rientra negli interessi, culture, affetti, ideologie, bisogni, sofferenze e quanto altro ci tocca vivere in questo nuovo millennio sempre più costretti a piegarci alle leggi della necessità. Ma in questo caso c'è qualcosa di più. Di assai più tragico dal punto di vista della libertà di pensiero, quella libertà di ricerca e elaborazione culturale che consente di affrontare situazioni di crisi come quella presente. Di non ridursi ad essere vittime e sudditi.
Lei sa bene quanto i cittadini siano divisi tra loro nel ritenere opportune o inopportune, umane o crudeli, utili o catastrofiche, giuste o ingiuste queste leggi dettate e imposte come stato di necessità. È nell’ordine naturale della democrazia che tali divisioni possano o meno ricomporsi senza pregiudicare i principi su cui essa, la democrazia, si fonda. Ed è qui che la politica mette in gioco le proprie virtù o i propri misfatti. Ma quello che sta accadendo CONTRO le istituzioni del sapere è destinato a abrogare ogni possibilità di disporre di individui in grado di farsi strumento di vita democratica.
Siamo, infatti, all'atto finale di una serie di scelte scellerate, con buone e assai più spesso cattive intenzioni, comunque sempre con massima povertà di idee e abbondanti dosi di connivenza tra gruppi di potere i più diversi. In sintesi estrema la serie è questa: avere sempre continuato a conservare ed anzi rafforzare i più corrotti meccanismi concorsuali; avere continuato a elaborare criteri di valutazione che non fanno alcuna distinzione tra area delle scienze dure (relativamente oggettive) e area delle scienze umane e sociali (divise da punti di vista a volte inconciliabili tra loro); in ultimo avere decretato l'attivazione di gerarchie e classificazioni meritocratiche (già in via di abbandono in altri Paesi in quanto inutili e dannose), che in breve tempo – se disgraziatamente adottate – porteranno a sterilizzare il pensiero di matrice universitaria e a svuotare di senso le sue funzioni, i suoi docenti, i suoi prodotti culturali, le sue professioni.
Se mai potranno esserci studiosi in grado di scrivere cosa vogliono e dove vogliono senza la paura di essere puniti, questi non potranno mai più appartenere all'università ma – per mantenersi intellettualmente onesti, professionalmente utili e competenti, davvero interessati ai beni comuni della società civile – saranno spinti ad emigrare altrove, rifiutando i titoli e le carriere imposte e governate dal sistema di governo ministeriale in corso. Dovranno nascere ALTROVE (anche le università private sono nella stessa perversa logica di quelle pubbliche) per non condividere i contenuti e gli interessi delle persone e delle strutture alle quali sarebbero più di prima e peggio di prima asserviti.
Caro Presidente, ascolti questo appello, sarebbe davvero triste che la memoria della sua Presidenza restasse legata a questa assurda scelta istituzionale. Salvi la propria immagine di statista da questa degenerazione politico-culturale, poiché così, presto o tardi, essa sarà giudicata.
Alberto Abruzzese, 24 luglio 2012.