Cercare di dare una definizione di cultura è sempre complicato, perché l’idea stessa di cultura è talmente sfaccettata da potersi declinare in molteplici interpretazioni.
Una proposta sintetica ed efficace è quella di Fausto Colombo (attuale direttore del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano) nel suo contributo all’interno del Lessico della Comunicazione ideato dal mediologo e scrittore Alberto Abruzzese nel 2003 (Meltemi editore). Anche se si tratta di un libro di oltre un decennio fa, le tre aree delineate da Colombo sono utili ancora oggi per tentare di razionalizzare il discorso sulla cultura. La prima area riguarda la cultura come “memoria”, ovvero forme culturali di vario tipo che vengono sancite come tali da soggetti che hanno la competenza o l’autorità per farlo. La seconda propone la cultura come un “circuito comunicativo”, e dunque idee, gusti, stili che circolano all’interno di una data società. La terza propende verso la “risorsa identitaria”: ossia ciò che consente di arrivare a formazioni collettive legate da una comune identità accettata da tutti i membri di una certa società.
Ma al giorno d’oggi, il web ha mescolato le carte sul tavolo, poiché nel mondo digitale possono convergere elementi legati alla memoria (es. archivi audiovisivi, portali dedicati alla conservazione del passato), ai circuiti comunicativi (in Rete, c’è abbondanza di stimoli comunicativi di ogni tipo), alle risorse identitarie (come ad esempio un pubblico che si riconosce nei contenuti pubblicati in un certo luogo della Rete o che si connette ad un determinato sito o social network per marcare la propria identità nel mondo digitale).
Nell’epoca contemporanea, fare cultura in modo cool è diventato più facile e più difficile allo stesso tempo. Più facile perché si ha accesso a mezzi di diffusione più semplici da gestire rispetto ai mass media, più difficile perché l’offerta è diventata molto ampia ed è necessario avere la capacità di distinguere la qualità dalla mediocrità.
In Italia, il rapporto fra televisione e cultura è stato al centro di dibattiti, soprattutto quando la Rai era un’azienda nevralgica per la vita culturale del Paese. E per quasi 30 anni, dal 1982 al 2009, il Maurizio Costanzo Show è stato il salotto televisivo più cool in Italia: ha rappresentato un pezzo di storia della televisione e del costume italiani. Ieri sera, dopo sei anni, è andata in onda la prima di quattro puntate di una edizione 2015 del Costanzo Show. Rivederlo è un po’ come rivedere una vecchia conoscenza che non si incrociava più da tempo, poi ognuno la vive in maniera diversa.
Oltre alla televisione, anche gli altri media concorrono a delineare, in maniera più o meno saggia, il racconto della cultura del Paese. Se ne parlerà, ad esempio, nella terza edizione del Festival del Giornalismo Culturale, organizzata il 23 e 24 aprile ad Urbino e il 25 e 26 aprile 2015 a Fano (zona nord delle Marche) dal Dipartimento di Scienze della Comunicazione e Discipline Umanistiche dell’Università di Urbino Carlo Bo. Qui il programma, ingresso libero.
Un colpo di cool aiuta per fare cultura, ma poi bisogna mettere un “saper fare”, e dunque competenze aggiornate e sguardo lungimirante.