Perfetti sconosciuti [recensione film]

Perfetti sconosciuti è uno di quei film che vale la pena di vedere perché mostra quanto possa essere fragile il castello di certezze che ognuno tenta di costruire nella propria vita.

Questa commedia corale diretta da Paolo Genovese, ambientata a Roma e uscita nei giorni scorsi nelle sale italiane, narra il disorientamento dell’Italia attuale, nella quale si celano dubbi e desideri che devono – o dovrebbero – rimanere segreti.

Il rituale della cena tra amici è l’espediente narrativo per mettere in scena l’apparente verità di vite che scorrono tra lavoro e rapporti sentimentali più o meno stabili.

Sette amici (anagraficamente attorno alla mezza età) si ritrovano, dunque, per una cena a casa di Rocco (Marco Giallini) ed Eva (Kasia Smutniack), due liberi professionisti appartenenti alla borghesia. Le altre due coppie sono Cosimo (Edoardo Leo) e Bianca (Alba Rohrwacher), Lele (Valerio Mastandrea) e Carlotta (Anna Foglietta), c’è poi Peppe (Giuseppe Battiston) che arriva da solo alla cena, ma ufficialmente è fidanzato, da poco tempo, con Lucilla, che non è potuta venire alla cena per via di un attacco di febbre (Peppe giustifica così la sua assenza).

Nella parte iniziale, il film fornisce alcuni pregevoli scambi di battute e in alcune scene si ride di gusto, come nelle riunioni fra amici che si conoscono da molto tempo.

E fra amici, giocare è piacevole. E così, per scherzare (ma forse non troppo) Eva propone di mettere sul tavolo lo smartphone di ogni partecipante alla cena e di rendere pubbliche tutte le comunicazioni che nel corso della serata arriveranno sullo smartphone di ognuno: ciò significa rispondere in viva voce alle telefonate, leggere ad alta voce i messaggi inviati e ricevuti, mostrare le immagini e i video che vengono inviati e ricevuti.

“La scatola nera delle nostre vite” – come viene definito lo smartphone durante il film –  diventa così la porta di accesso per entrare in un mondo di tradimenti, segreti, identità sessuali fluide, bugie, rivelazioni, con una sceneggiatura che nella parte centrale del film vira dal genere della commedia a quello drammatico, facendo uscire allo scoperto l’anima di persone in crisi con la propria interiorità e con il proprio partner.

Quello che all’apparenza sembrava un gioco divertente, si trasforma in un gioco al massacro morale di tutti i protagonisti.

Dopo aver mantenuto ritmo per gran parte del film, la storia scivola infine verso un finale buonista e consolatorio: la tensione accumulata fra i personaggi scende e gli scheletri usciti dall’armadio vengono spinti verso un “volemose comunque bene” che chiude il film.

Una commedia all’italiana lucida, divertente e amara allo stesso tempo, peccato per il calo nella parte finale.