Il 2020 verrà probabilmente ricordato come l’anno del Coronavirus.
In questi giorni, se ne sentono e leggono di ogni tipo.
Questo virus – diffusosi in Cina da dicembre 2019 e poi “esploso” a gennaio, con una estensione dei contagi anche in altri Paesi, tra cui l’Italia, durante questo mese di febbraio – ha portato morte e malattie, e sta creando problemi in gran parte del mondo.
In Italia, a Reggio Emilia, ha sede il Centro Studi sulla Cina Contemporanea, presieduto da Alberto Bradanini, già ambasciatore d’Italia in Cina (2013 – 2105).
In questi giorni, sul sito web del Centro Studi sulla Cina Contemporanea, sono state pubblicate alcune importanti considerazioni firmate da Alessandra Cappelletti, docente al Dipartimento di Relazioni Internazionali della Xi’an-Jiaotong Liverpool University di Suzhou (Cina) e ricercatrice senior del Centro Studi sulla Cina Contemporanea: «Fattore numero uno: la sanità. La medicina occidentale richiede investimenti ingenti, nonché la formazione di conoscenza. Negli ultimi 30 anni le autorità cinesi hanno investito molto in educazione, innovazione, sviluppo industriale, mentre sulla medicina occidentale si sono mossi più lentamente. La medicina occidentale in Cina è dunque rimasta un po’ indietro. Questo non significa che non si trovano medicine oppure ospedali che la praticano, anzi, ora abbondano ovunque, ma per operare in modo veramente efficace, soprattutto in presenza di patologie nuove, c’è bisogno ancora di tempo e investimenti. Sistema sanitario debole, personale medico-sanitario non preparato, alta densità di popolazione, attitudine negativa di gran parte dei cinesi rispetto alle cure ospedaliere e periodo di picco influenzale sono fattori che, se combinati, producono un quadro pericolosissimo. Molti cinesi non sono abituati a farsi curare in ospedale perché senza un’assicurazione adeguata le cure mediche, in Cina, sono molto costose. Quindi molti si sono auto-curati, e non hanno fatto attenzione al grado di infettività di questo virus. Inoltre, vogliamo considerare anche le realtà rurali e i villaggi di montagna, dove le strutture sanitarie sono praticamente inesistenti? Nello Hubei si è scatenato il caos. Il fattore numero due: la densità di popolazione a Wuhan, città con 12 milioni di abitanti, ha agito come sale nella piaga».
Sul sito web del Centro Studi sulla Cina Contemporanea, è intervenuto anche l’ambasciatore Bradanini: «La nazione cinese è una nazione piena di virtù e con grande capacità di imparare dalle lezioni della Storia, e sarà in grado di sconfiggere anche questa epidemia, con l’aiuto però di tutta la comunità delle nazioni. La Cina è e rimane un paese amico, il suo popolo è un popolo amico dell’Italia. Teniamo infine presente che la Cina non dimenticherà coloro che l’hanno aiutata nel momento del bisogno».
Oltre alle implicazioni a livello sanitario e psicologico, ci sono anche quelle a livello economico.
In tal senso, è intervenuto oggi Lucio Miranda, Presidente di ExportUSA (società, con sedi in Italia e negli Usa, che sostiene aziende e professionisti italiani nell’ingresso al mercato statunitense): «Il Coronavirus non sarà un vincolo all’export europeo negli USA. Questo allarmismo sta creando un effetto domino che non possiamo permetterci. Così come nessuna industria opera in isolamento, nessuna economia può operare in isolamento. Esempio pratico: l’economia americana ha bisogno di circa 30.000 componenti per fabbricare automobili: una grande opportunità per le nostre industrie, che non può essere frenata da un atteggiamento che esaspera l’imprenditoria, fiaccandone gli introiti. L’economia europea dovrebbe, piuttosto, trarre vantaggio da questo momento storico, per lavorare in maniera più incisiva con gli Stati Uniti, considerate le attuali esigenze di approvvigionamento di beni industriali che prima venivano forniti dalla Cina».