Un caffè con Daniele Pitteri

Terzo appuntamento del 2012 con le Interviste Un caffè con.

Daniele PitteriDaniele Pitteri è fondatore e presidente di Mohma, società di comunicazione strategica con attività a Napoli, Roma e Milano. Si occupa di comunicazione, consumi ed eventi, lavorando con aziende ed istituzioni culturali. E’ socio della società We4 Comunicazione.

Insegna Comunicazione e marketing nelle Università Federico II di Napoli e IULM di Milano.

Collabora, in qualità di editorialista, con il quotidiano La Repubblica (edizione di Napoli) ed è autore di numerosi libri sui temi della pubblicità e della comunicazione.

Ha insegnato comunicazione pubblicitaria  all’Università La Sapienza di Roma (1997 – 2005). Ha fondato e guidato le società di comunicazione integrata Zelig Comunicazione (1988 – 1999) e Labcom (2000 – 2010).

Vive a Napoli, dove è nato nel 1960.

Oggi, parlare di comunicazione significa anche parlare di come viviamo e di come usiamo le innovazioni per comunicare. In quali modi la comunicazione fa parte della vita quotidiana delle persone? La comunicazione è una parte essenziale della vita quotidiana delle persone. Fare comunicazione attraverso i nuovi media ha modificato la modalità in cui le persone si relazionano tra loro. Da questo punto di vista, stiamo vivendo un periodo storico particolarmente interessante.

Perché un imprenditore dovrebbe investire in comunicazione durante questo periodo? Nell'ultimo decennio, le dinamiche di consumo e di mercato si sono profondamente modificate e sono cambiati gli equilibri nei processi di marketing dei prodotti destinati direttamente ai consumatori. Oggi, al centro delle strategie di una impresa non c'è più soltanto il prodotto, ma anche il cliente o potenziale cliente. Ed è evidente il cambiamento delle strategie. Se si fa mercato partendo dal prodotto, si ha una posizione dichiarativa. Se si fa mercato partendo dal consumatore, la posizione deve diventare necessariamente dialogica. Ciò significa che la comunicazione è diventata la leva essenziale nei processi di marketing.

 In che modo la comunicazione produce un buon ritorno sull’investimento? Anche da questo punto di vista, bisogna rivedere i meccanismi tradizionali. A parte alcuni beni di larghissimo consumo, come ad esempio i detersivi, per i quali cui funzionano ancora i meccanismi tradizionali, ormai non si può più considerare il processo di comunicazione soltanto in relazione all'immediata efficacia delle vendite. Oggi, la comunicazione serve soprattutto per creare, nel medio-lungo periodo, un rapporto con i potenziali consumatori e per far sì che il brand sia sempre presente nella testa dei consumatori. E oltre alla qualità, il prodotto deve avere anche altri requisiti, non ultimi quelli etici. Attualmente, l'indice di gradimento è un elemento molto importante per le aziende, che però non è quantificabile in termini di ritorno immediato, come siamo stati abituati a ritenere fino ad oggi.

Oggi, è diventato fondamentale anche saper intercettare il pubblico giusto. Come si fa a trovarlo? Ognuno di noi tende, attraverso i propri atti di consumo, a costruire un percorso identitario. Questa affermazione si presta a due interpretazioni: può essere letta come la definitiva vittoria del consumismo sul nostro libero arbitrio oppure può essere vista come l'acquisizione di un rapporto basato sul principio di piacere con i prodotti, ovvero di adesione al nostro modo di essere. I beni materiali ed immateriali che acquistiamo e i servizi di cui ci avvaliamo servono a rafforzare le nostre spinte interiori e a dare loro una concretezza. Se le aziende non comprendono che è questo il meccanismo di consumo, non più basato sulla necessità, diventa per loro difficilissimo capire qual è il pubblico giusto. Oggi, per le aziende, è diventato effettivamente più complicato trovare un pubblico di riferimento, perché ognuno di noi si muove in un percorso del tutto individuale, in cui forse è possibile trovare qualcun altro nel mondo con lo stesso percorso, ma non ci sono più i target monolitici di un tempo. E' fondamentale, dunque, capire quali sono e come si manifestano i piaceri e le passioni delle persone. Se le aziende capiscono questi piaceri e queste passioni, si trovano di fronte a comunità di persone che trovano un argomento unificante in un interesse. E questo argomento unificante è ciò che sostituisce i vecchi target, perché all'interno della logica passionale c'è un pubblico, più o meno vasto, che condivide un elemento. E allora bisogna iniziare a lavorare in questa maniera. Se le aziende riescono a capire come funziona una passione verso qualcosa e riescono a posizionare il loro prodotto come funzionale all'esercizio di quella passione, allora saranno vincenti.

Gli eventi sono uno strumento di comunicazione che esiste da tempo. E in questi ultimi anni, l’organizzazione e la promozione di eventi stanno vivendo un vero e proprio boom. A cosa è dovuto? Oggi, con la parola evento si tende ad indicare un ventaglio di attività molto differenti tra loro. Bisogna riportare il termine evento alla sua origine: l'evento è un meccanismo comunicativo che riesce, su un determinato territorio, a far coincidere alcuni elementi caratteristici di quel territorio con dei pubblici che sono interessati a quegli elementi caratteristici del territorio, che possono essere di tipo culturale, valoriale, funzionale. Si deve avere una definizione ampia di territorio: può trattarsi del territorio tipicamente geografico, ma c'è anche il territorio mediale, costituito ad esempio dai territori marcati dal pubblico di due quotidiani diversi, e anche i brand delle aziende sono territori. Per l'azienda, un evento funziona se essa riesce a sviscerare le caratteristiche culturali, valoriali, funzionali del proprio brand. E quindi l'evento deve servire a mettere in comunicazione le persone interessate a quei valori con i valori che l'azienda esprime attraverso il marchio. Considerato da questo punto di vista, l'evento è un meccanismo fondamentale nei nuovi processi di mercato, ma purtroppo spesso viene utilizzato soltanto come mero elemento promozionale, vanificando la capacità di essere il collegamento tra l'azienda e il suo pubblico.

Storicamente, gli italiani non hanno mai sgomitato per cibarsi di cultura, ma la moltiplicazione di eventi culturali in questi anni è un fenomeno innegabile. Come si spiega questo fenomeno? Tradizionalmente, la cultura viene considerata in Italia come qualcosa di extra-ordinario, che non fa parte della quotidianità. Viene relegata nell'ambito formativo della scuola oppure in luoghi deputati come ad esempio musei, teatri, mostre, festival. In Italia, manca la considerazione della cultura come un elemento della vita quotidiana. E questo è un peccato, perché tutti i grandi momenti culturali del nostro paese – ad esempio il Rinascimento oppure la grande stagione del design negli anni Settanta ed Ottanta – hanno visto una commistione fra cultura e quotidianità. Abbiamo perso questo grande insegnamento e trattiamo la cultura come qualcosa al di fuori dell'ordinario. Tuttavia, le persone hanno la necessità di avere qualcosa di più rispetto a ciò che viene loro normalmente dato, e questo fatto spiega la fame di eventi. Ad esempio, non siamo un popolo di lettori perché abbiamo relegato il libro e gli strumenti di acculturazione in aree chiuse. La necessità di eventi è determinata dal fatto che c'è bisogno di avere un po' di cultura nella quotidianità, ma gli italiani non sono capaci di attingere alla cultura nei modi tradizionali, attraverso i prodotti dell'industria culturale, perché abbiamo fatto considerare l'industria culturale come estranea alla quotidianità, noiosa, pesante. Il grande successo dei festival di parola – settore portante fra gli eventi – è determinato da questa necessità di quotidianità della cultura e di semplicità.

Un’altra grande area che può essere gestita in maniera più efficace è quella del turismo. Come si può ragionare sul turismo in Italia in maniera realmente produttiva?In Italia, si pone ancora al centro del processo turistico il territorio o la destinazione, intesa come mare o montagna. Mentre oggi le persone cercano altro: attraverso il viaggio e il turismo, le persone cercano qualcosa che sia in grado di alimentare l'interiorità e di determinare esperienza. Anche se l'esperienza è il divertimento o il relax, queste attività si svolgono attraverso l'esercizio di una passione, come ad esempio il ritorno radicale alla natura. Se in Italia non si comincia a guardare il turismo da questo punto di vista, ossia producendo un'offerta in grado di rispondere alle richieste esperienziali delle persone, avremo sempre più difficoltà a sviluppare un turismo forte, pur avendone tutte le possibilità. Ritenere che basti costruire un albergo o fare un evento culturale per far riversare una moltitudine di persone in un luogo è un pensiero errato, e i numeri lo stanno dimostrando poiché negli ultimi anni il turismo in Italia è in calo. Ed è in calo anche perché non risponde alle aspettative delle persone: anche l'offerta tradizionale di destinazione e di accoglienza non risponde a ciò che richiedono le persone perché gli standard o il rapporto qualità-prezzo sono sbagliati rispetto al resto del mondo. Altri paesi stanno ragionando meglio su una visione nazionale, come la Spagna, ma anche in Italia ci sono aree in cui ci si pongono domande, come ad esempio la riviera romagnola e il Trentino, dove si riesce ancora a produrre qualcosa di interessante sul versante dell'innovazione del prodotto turistico.

La pubblicità tradizionale è in crisi, mentre le forme di pubblicità online non hanno ancora trovato una struttura definita. Oggi, come si può impostare una strategia di comunicazione pubblicitaria che dia risultati? Prima di tutto, dipende da prodotto e dal pubblico che ha quel prodotto. Oggi, il pubblico ha bisogno di sentire qualcosa che possa interessarlo, e i mass media non sono del tutto adatti per questo tipo di comunicazione e non sono più la base su cui si imposta la comunicazione delle persone. Una corretta strategia di comunicazione di prodotto passa attraverso un insieme di strumenti, anche molto diversificati tra loro. Non vorrei parlare di pubblicità, perché per me pubblicità è soltanto quella che va sui mass media. Oggi, per le aziende, la pubblicità è una parte di un insieme più complesso di azioni di comunicazione verso il consumatore. Questo insieme è costituito in parte dagli eventi, in parte da forme di relazioni sviluppate attraverso i social networks, in parte da azioni sul territorio, in parte dalla comunicazione del punto vendita. Ma spesso queste nuove strategie, all'inizio, richiedono un po' più di tempo rispetto alla pubblicità tradizionale. Ma la pubblicità tradizionale non funziona più come una volta e le imprese si trovano in un vicolo cieco perché hanno paura di aspettare troppo tempo, utilizzando strumenti nuovi, oppure sperano di ottenere subito risultato con la pubblicità ma il risultato non arriva e giungono alla conclusione che la comunicazione non serva. Si sta creando un grosso problema in tal senso. Oggi, l'agenzia tradizionale non può più essere al centro delle strategie di una campagna di comunicazione, perché è soltanto una parte, forse anche marginale, del complesso di azioni di cui c'è bisogno.

Finora, l'insieme di azioni di comunicazione pubblicitaria sui social networks sta producendo risultati apprezzabili? Dipende dai prodotti, dal pubblico e dalle strategie. Il metodo pubblicitario tradizionale, basato sulla proposizione dichiarativa:"io esisto", non produce nessun risultato sui social networks. Se invece hai la capacità di produrre contenuti in grado di stimolare l'interesse e creare un rapporto emotivo caldo con il consumatore, allora il social network dà ottimi risultati. A livello lavorativo, ho avuto un paio di esperienze di questo tipo. La prima con un festival teatrale, in cui il 65 per cento degli acquisti online dei biglietti è partito dai social networks. La seconda con un orologio di design creato in Cina. In questo caso, bisognava superare l'idea della Cina come fabbrica di prodotti copiati e siamo comunque riusciti a creare una comunità di appassionati di questi orologi.

Cosa consiglia ad un giovane che desideri intraprendere un percorso lavorativo nel mondo della comunicazione pubblicitaria? Non va inseguita la figura del pubblicitario geniale e solitario. La pubblicità non è arte e non ha nulla a che vedere con le finalità dei linguaggi artistici. Questa confusione, ancora presente fra i giovani oggi, è stata anche alimentata dagli ultimi grandi pubblicitari e dal loro comportamento da "guru". Fare pubblicità, oggi, significa saper dialogare con delle persone. E per dialogare, devi conoscerle. E per conoscerle, devi faticare. Non bisogna avere paura di mettersi in gioco e bisogna accettare ogni esperienza che viene concessa. Dico "concessa" perché purtroppo oggi è diventato molto difficile entrare nel mondo della comunicazione: un settore attualmente in contrazione. Ma soltanto facendo realmente la gavetta, si impara a fare bene questo mestiere. Purtroppo, negli ultimi anni, molti giovani risentono di una considerazione sbagliata della formazione universitaria: ossia pensano che l'università sostituisca la gavetta e basti prendere una laurea in comunicazione o pubblicità per andare in azienda già pronti per il lavoro. Non è così. E poi si sentono demoralizzati quando vanno in azienda e fanno le fotocopie. La laurea servirà ad usare meglio la gavetta, perché fornisce gli strumenti culturali per imparare più velocemente e per fare il salto di qualità. Ma se non si passa per la gavetta, è tutto inutile.

I creativi italiani raramente vincono premi nelle competizioni internazionali dedicate alla pubblicità. Perché? L'Italia ha una cultura pubblicitaria del tutto unica e particolare, che si è sviluppata soprattutto nel secondo dopoguerra, a partire da Carosello. L'impronta culturale di Carosello ha plasmato il rapporto fra pubblicità e persone, ed ancora oggi continuiamo a sviluppare modalità di comunicazione pubblicitaria legate alla cultura che le persone hanno. E questo vale non soltanto per la pubblicità, ma anche per altre aree della produzione culturale italiana. All'estero, la cultura anglosassone della pubblicità è molto più uniformante, non perché gli altri popoli siano poco dotati intellettualmente ma perché nel resto del mondo non c'è stato un elemento così particolare come Carosello.

Nel 1967, Marshall McLuhan affermò:”Storici ed archeologi scopriranno un giorno che i richiami pubblicitari della nostra epoca sono le riflessioni quotidiane più ricche e fedeli che mai una società abbia fatto sull’intero campo delle sue attività”. E’ vero ancora oggi? E' vero in misura minore. Fino a dieci anni fa, questa affermazione di McLuhan era pienamente vera. Oggi, nella quotidianità c'è stata una "intrusione" radicale ed improvvisa di un mezzo nuovo e sconvolgente come internet, che ha modificato tutto il sistema mediale e ha modificato anche il ruolo delle persone nel sistema mediale. Le persone sono passate da semplici ricettori di messaggi a produttori di contenuti che possono essere pubblicati.

Tra i suoi libri, ce n’è anche uno dal titolo Democrazia elettronica (Laterza editore, 2007). Come si sta evolvendo la pratica della democrazia al tempo dei nuovi media? Grazie alla possibilità di produrre contenuti e renderli pubblici, i nuovi media hanno determinato una diversa capacità delle persone di essere presenti nel dibattito pubblico e la possibilità di creare aree di dibattito pubblico prima inesistenti. Questo è già un fenomeno straordinario, anche se a volte mi lascia un po' perplesso. Abbiamo una prima dimostrazione di questi cambiamenti con l'affermazione del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo nelle recenti elezioni amministrative. Ma attualmente siamo ancora lontani dall'utilizzo dei media per processi partecipativi decisionali diffusi. Credo che con il tempo, arriveremo comunque anche ad un loro utilizzo in tal senso, perché penso che i media, di oggi e di domani, stiano diventando uno strumento ineludibile nel dibattito politico e nella vita politica delle società contemporanee.

Anche in tempo di crisi, gli italiani difficilmente rinunciano a certi piaceri della vita. Quali consumi e quali settori stanno tenendo? Il fatto diverso, rispetto ai precedenti periodi di crisi e anche rispetto all'inizio di questa crisi, è rappresentato dal trasferimento dei consumi anche su internet. Tendiamo a rinunciare il meno possibile alle merci, cercandole online. Ciò avviene per due motivi: abbiamo maggiore possibilità di scelta e possiamo trovare occasioni che la distribuzione tradizionale non è in grado di garantire. In questo periodo, stiamo assistendo ad un boom della vendite online in Italia. Il settore alimentare sta reggendo e si sta sviluppando grazie ad internet, soprattutto attraverso la vendita di prodotti tipici. Stanno diminuendo, invece, i consumi con costi non risparmiabili, ad esempio il settore dello spettacolo e in generale dell'intrattenimento sta subendo una contrazione notevole.