Un caffè con Luca Martera

Inizia il ciclo 2011 delle interviste Un caffè con…

Luca Martera Luca Martera è autore, sceneggiatore e regista per la televisione e il cinema. Inoltre è consulente sulle relazioni culturali tra Italia e Stati Uniti e per contenuti audiovisivi d'intrattenimento in Italia e negli Stati Uniti. Dal 1997 lavora, in qualità di libero professionista, per produzioni televisive di Rai, Mediaset, La7. Nel 2009, ha scritto, prodotto e diretto il film low-budget Sexual Radar. E' tra i maggiori esperti italiani di archivi audiovisivi ed uso creativo di immagini di repertorio cine-televisivo. E' storico dei mass media ed è stato curatore del libro Lo spettacolo in tv. Ovvero la tv è meglio farla che guardarla (Audino editore, Roma 2000). Dal 2011, vive tra Roma e New York. Il suo sito web è LucaMartera.com.

Nato a Taranto nel 1973, sei arrivato a Roma nel 1997 per seguire la tua passione per il cinema. Ma, come succede quasi sempre, all'inizio le difficoltà si sono fatte sentire… Sì, perché anche soltanto per fare il volontario, bisogna conoscere. Ma intendiamoci sul significato di "conoscenza" in Italia: questa parola non rimanda sempre e comunque ad un significato negativo collegato a raccomandazioni ed imposizioni, semplicemente per fidarsi di uno sconosciuto e lavorarci insieme, molto spesso si preferisce la segnalazione proveniente da persone con le quali si è già lavorato. Chi è appena arrivato in questo ambiente, deve iniziare a raccogliere il maggior numero possibile di informazioni. Nel 1997, quando arrivai a Roma, internet era agli albori. Ebbene, attinsi a piene mani ad un sito di cinema italiano dove ingenuamente il webmaster aveva pubblicato i numeri di telefono dei maggiori sceneggiatori e registi italiani. Prima della rimozione di quei contenuti, feci in tempo a carpire quei preziosi dati e così iniziai un intenso lavoro di relazione e comunicazione con il mondo italiano degli audiovisivi.

Anni di formazione importanti, durante i quali hai conosciuto molte persone attive nella televisione, nel cinema e nella cultura italiana, come ad esempio Dario Argento, Furio Colombo, Mario Monicelli, Renzo Piano, Stefano Benni. Cosa hai imparato da loro? Ho imparato molto. Sono un onnivoro e la mia curiosità mi ha portato a scoprire interessi che non sospettavo di avere. Fin dall'inizio, ho imparato a mie spese che il mondo non è tutto nero o tutto bianco: è grigio. Ho bussato alla porta di molte personalità, diverse fra loro, e ho capito che in Italia è molto importante dover far parte di un gruppo. In Italia, il free spirit, il pensatore libero viene accomunato con disprezzo a frange estreme della società, con un accostamento che non ha nulla a che fare con l'autonomia di pensiero e azione di tante persone che scelgono di restare ai margini. Considero Gualtiero Jacopetti come il mio mentore: è una personalità importante nella cultura italiana, alla fine degli anni Cinquanta ha inventato il cinegiornalismo satirico e negli anni Sessanta il documentario shock, Federico Fellini si ispirò a lui per il ruolo del giornalista interpretato da Marcello Mastroianni nel film La Dolce Vita. Ebbene, Jacopetti viene ancora oggi ritenuto un fascista. Ho imparato molto anche da Paolo Poli: persona straordinaria. Ma negli ultimi tempi la cultura in Italia è stata assassinata: non mi riferisco soltanto agli ultimi anni, è un discorso più generale che attiene alla caduta verticale dei gusti del pubblico.

Oggi, le serie televisive americane vengono spesso considerate più interessanti sia rispetto al cinema americano che a molti film italiani. Come si è arrivati a questa situazione? Siamo nel 2011 e da almeno tre anni sto lavorando per trasferirmi in pianta stabile negli Stati Uniti, a causa della impossibilità di crescita professionale in Italia. E io seguo ciò che mi appassiona e mi piace, secondo princìpi di bellezza e verità. Negli ultimi quindici anni negli Usa, le due principali tv via cavo – HBO e Showtime – hanno rivoluzionato il linguaggio televisivo attingendo alla pop art, al cinema e alla cultura in generale, superando la stessa Hollywood. Il mio desiderio è lavorare come showrunner: ovvero come produttore creativo che segue  la lavorazione di una serie dall'inizio alla fine. David Chase, al secolo l'italoamericano David DeCesare nonché l'ideatore della serie tv I Soprano, è tra i miei punti di riferimento.

Ci parli del tuo progetto americano? In una città come New York, la regola per sopravvivere è inventare un lavoro, più che cercarlo. New York ti permette di testare qualsiasi tipo di idea, avere un riscontro immediato e contare sulle tue capacità, senza le snervanti attese italiane. Ho lavorato per anni con gli archivi televisivi. Ora, al giorno d'oggi, YouTube è diventato il più grande archivio audiovisivo al mondo e questo fatto mi ha creato seri problemi di lavoro. Ma la crisi lavorativa ha rivelato anche opportunità: ho iniziato a studiare il linguaggio del web. In particolare mi sono concentrato su web fiction e web series, che negli Stati Uniti hanno raggiunto una fase di maturità: sono arrivati, infatti, gli investitori pubblicitari a sostenere questo settore. E ho pensato ad una mia start up: con un progetto di due pagine e un demo video di cinque minuti sono riuscito a fissare appuntamenti a New York con i venture capitalists, gli investori di rischio. Se a loro interessa il tuo progetto, si va avanti, indipendentemente dalla tua età e dalla tua provenienza sociale e geografica. E' una situazione molto diversa rispetto all'Italia, dove fino a 40 anni si è considerati bamboccioni. E soltanto viaggiando e conoscendo altre realtà e culture, si possono fare confronti.

Come si possono usare in modo efficace e creativo le immagini di repertorio per fare programmi televisivi? Il panorama è cambiato moltissimo, per via del web. Pochi giorni fa, YouTube ha stretto un accordo sul creative commons e dunque per la prima volta qualsiasi filmmaker può montare i suoi video attingendo ad un repertorio di immagini gratuito e globale. Per quanto riguarda le fonti tradizionali, è evidente come gli archivi radiotelevisivi conservino materiale pregiato e di proprietà, basti pensare al maggiore archivio di questo tipo al mondo: quello della BBC, seguìto, e mi fa piacere dirlo, da quello della Rai. Ma si va incontro ad una ibridazione, poiché è sempre più difficile distinguere fra materiali di prima e seconda mano.

La televisione è ancora lo specchio della società italiana? Nel 2011, la risposta a questa domanda è no. La tv è invecchiata, e i giovani non sono più rappresentabili nella categoria dei telespettatori, bensì in quella dei viewers sul web. A partire dal 2000, il web ha avuto una accelerazione, e nel 2011, per la prima volta in Italia, una elezione politica è stata influenzata dal voto dei giovani, informati principalmente dal web e non dalla televisione. E questo è un grande risultato. In tv, Milena Gabanelli merita una citazione per la professionalità con cui svolge il suo lavoro.

Il cinema italiano sembra sempre sull'orlo di una crisi di nervi, sia per le storie raccontate sia a livello economico, ma paragonato alle cinematografie europee sembra comunque stare a galla… Non sono molto d'accordo. Oggi, si è arrivati ad una povertà di sguardo da parte degli autori. Attualmente, sembra che si sia ritornati ad una sorta di neocommedia rosa all'italiana anni Cinquanta. Mi riferisco al maggior incasso italiano di sempre: Che Bella Giornata con Checco Zalone. Questo film è stato un successo trasversale, ma è molto fuori dalla realtà. La crisi culturale del cinema non riguarda soltanto l'Italia ma anche le cinematografie europee: soltanto il cinema francese rimane solido grazie a leggi a favore e a una grande industria, mentre in Italia questa povertà di sguardo è legata alla mancanza di produttori indipendenti. Naturalmente, ci sono le eccezioni, come Il Divo e Gomorra. Nel 2009, ho realizzato Sexual Radar, il mio primo film. Si è trattato di un film indipendente e low-budget, autofinanziato con 40.000 euro. Sono riuscito a venderlo all'estero, ma ciò che mi ha ferito è il non aver trovato nessun incoraggiamento nell'ambiente cinematografico italiano. Il mio film può piacere o non piacere, ma non trovare nessun sostegno fa male.

Da dove nasce la tua passione per gli Stati Uniti e come è strutturato lo showbiz americano? Lo showbiz americano, inteso come industria, ha un secolo di storia. Gli italiani che si sono affermati negli Stati Uniti come produttori, registi, sceneggiatori, sono pochissimi. La lingua italiana è bellissima ma purtroppo non ha molto mercato nel mondo. Ma il problema è dovuto anche al fatto che siamo rimasti "vecchi" con le storie  e con lo sguardo, e questo non ci fa andare avanti. E questo costringe le persone più dotate alla scelta di emigrare. All'estero, gli italiani che eccellono si trovano in settori nei quali abbiamo una valenza  storicamente riconosciuta, come il design, l'architettura, il cibo, i beni di lusso, le arti, la musica soprattutto sul versante dell'opera lirica. Non riesco a spiegare questa penuria italiana nella televisione e nel cinema globali: certo, lo sbarramento linguistico è forte, e la concezione mediterranea del lavoro è diversa da quella anglosassone. Alessandro Camon, sceneggiatore, è uno dei pochi italiani che è riuscito ad affermarsi in ambito audiovisivo negli States. Spero di riuscire ad aggiungermi anch'io.

Nel tuo lavoro, come utilizzi il web? Qualche giorno fa, stavo leggendo che negli Stati Uniti stanno iniziando a nascere comunità per aiutare a disconnettersi dalla rete. Mi spiego: uso il web quotidianamente da quindici anni, da quando avevo il Mac e facevo il giornalista freelance, e da allora non mi sono più staccato dalla rete. Per me, l'informazione è molto importante. Ma devi darti un codice di autodisciplina e stabilire quanto tempo al giorno dedicare alla ricerca e all'approfondimento dei temi che ti interessano oppure rischi di essere fuori dalla realtà per buona parte della giornata.

Oggi circolano molti contenuti video. Quali tendenze vedi negli audiovisivi di rete e quale forma potranno assumere? L'arrivo della banda larga ha consacrato la prevalenza dell'immagine sulla parola, con buona pace di chi pensava che il web rappresentasse la rivincita della parola sull'immagine. Con YouTube si possono fare molte cose, tra cui affari, divertimento, costruirsi una carriera, ed è su YouTube che si sono affinati gli strumenti per perfezionare il linguaggio e i formati brevi. Bisogna essere semplici, brevi, efficaci, possibilmente divertenti. Sono considerazioni che valgono praticamente per qualsiasi tipo di comunicazione, da quella pubblicitaria a quella politica. Senza dimenticare l'importanza dello storytelling specifico in questo settore, e dunque: inizio forte, sviluppo veloce e finale con il botto.

All'interno di questa grande eterogeneità di contenuti, come si fa ad individuare quelli interessanti e i talenti? E questi contenuti sono proponibili anche sui media tradizionali o vanno bene soltanto sui media innovativi? Non ci deve essere separazione. La commistione è vincente ormai già da qualche anno, ma mi riferisco soprattutto al mercato americano. L'ultimo esempio è quello dei due valenti violoncellisti sloveni che, avendo finito i soldi e volendo continuare la permanenza professionale a Londra, hanno messo su YouTube un video in cui hanno interpretato la canzone Smooth Criminal di Michael Jackson. Pochi giorni dopo vengono chiamati da Elton John e dai media americani e nel giro di poche settimane diventano star. Il web è diventato il trampolino di lancio per qualsiasi tipo di iniziativa, da quella commerciale a quelle artistiche. Non ci sono più alibi: se hai una buona idea e sai comunicare, prendi una telecamera, oggi a prezzi abbordabili, e realizza un video. Ma oggi la vera difficoltà è farsi notare: e attorno al farsi notare, sono nati studi e persino professioni. Spesso, la strategia più efficace, e sinistra, per farsi notare è collegare ciò che si fa con una vicenda di cronaca. E in Italia, purtroppo, questo collegamento avviene molto spesso con fatti di cronaca nera.

Andy Warhol (1928 – 1987) diceva che in futuro tutti sarebbero potuti essere famosi per 15 minuti. Anni dopo, possiamo affermare che quella profezia si sia almeno in parte avverata. Tu hai detto che domani tutti potranno essere famosi per 15 dollari. Ci spieghi? Ieri si poteva essere famosi per 15 minuti, oggi per 15 secondi e domani per 15 dollari. Questo perché ognuno di noi crede, sbagliando, di essere un'opera d'arte. L'unicità e l'irripetibilità appartengono a pochi. C'è oggi un deprezzamento che investe anche il talento vero. Questo accade perché c'è troppo frastuono ed ecco perché sarebbero necessari gli educatori al gusto. Oggi, la tradizionale verticalità e gerarchia nella società e nella vita quotidiana non ci sono più: assistiamo alla società liquida ed orizzontale di cui parla il sociologo Zygmunt Bauman. Gli educatori al gusto servono a far capire che per arrivare dal punto A al punto B sono necessari lavoro e impegno, al contrario delle idee propagate attraverso il Grande Fratello, l'ultimo format globale della tv, in cui si prospetta la possibilità di avere tutto e subito senza faticare.

Chi non sa ridere, non è una persona seria. Sei d'accordo? Questo attiene alla mia filosofia di vita. L'ironia non è mai popolare. Io appartengo ai "maledetti toscanacci", ossia a coloro che usano l'ironia per mettere in discussione tutti i dogmi. Questo però ti espone al problema di essere impopolare e di rimanere solo, al contrario dell'italiano medio che cerca sempre di essere il più simpatico possibile a tutti. Nonostante tutti i problemi che ci sono in Italia, nel 2011 agli italiani piace sempre mangiare e bere al meglio, vestire bene e lavorare meno possibile. Credo che gli italiani e gli americani siano due popoli che sanno recitare in modo naturale. Gli italiani recitano, dicono bugie, fanno intrallazzi semplicemente per godersi la vita, gli americani recitano e manipolano al solo scopo di arricchirsi. Mi sembra una grossa differenza.