Fra le teorie più recenti sul rapporto tra esseri umani e tecnologie, c’è anche quella del Gemello Digitale, elaborata da Derrick de Kerckhove.
Classe 1944, nato in Belgio, de Kerckhove ha trascorso molti anni in Canada e alcuni anni in India. Dagli anni Ottanta, frequenta anche l’Italia, e nel corso del tempo è diventato italiano d’adozione, insegnando anche all’Università Federico II di Napoli. Nel mondo degli studiosi di comunicazione, è considerato come l’erede scientifico di Marshall McLuhan (1911 – 1980): studioso canadese di comunicazione, che nella seconda metà del Novecento elaborò teorie sui media che ebbero risonanza negli ambienti accademici di gran parte del mondo. Da alcuni anni, de Kerckhove vive a Roma, dove è direttore scientifico della rivista Media Duemila (direttore responsabile: Maria Pia Rossignaud).
Per molti anni, il giornalista e scrittore Giovanni Giovannini (1920 – 2008) si occupò anche dello studio dei media, e nel 1983, assieme a Luigi Dadda e Francesco Silvano, co-fondò la rivista Media Duemila. Dal 2009, si svolge il Premio Nostalgia di Futuro, a lui dedicato.
Mercoledì 25 settembre 2019 a Roma, al Senato della Repubblica, si è svolta l’undicesima edizione del Premio Nostalgia di Futuro, organizzata da Media Duemila in collaborazione con il Prix Italia della Rai.
Tra i relatori presenti, anche Derrick de Kerckhove, che ha spiegato la teoria del Gemello Digitale.
«Gli algoritmi, in alcuni casi, compiono già scelte per noi – afferma de Kerckhove – e la tendenza è in crescita. Già oggi puoi chiedere a una macchina se devi girare a destra o a sinistra, immagina se un giorno potrai chiedere a un assistente digitale: ‘devo sposarmi o no?’. Il telefono cellulare è stata la prima versione del Gemello Digitale. All’inizio, era un problema di ingegneri alle prese con una turbina difettosa: invece di sostituire la macchina o il suo funzionamento, questi ingegneri pensarono che fosse meglio creare un doppio digitale dello strumento, all’interno del quale tutti i componenti e il modo in cui funzionavano erano rappresentati, e si inseriva anche il recapito da chiamare in caso di problema. Da qui è nata l’idea del Gemello Digitale. Da questo concetto, che era puramente ingegneristico, si è arrivati a un’applicazione puramente informatica, ad esempio alcuni hanno iniziato a valutare l’applicazione del “gemello” a diversi tipi di entità, per esempio un quartiere, un’impresa, un magazzino, fino ad arrivare a degli educatori che hanno pensato di applicarlo alla classe. A quel punto, vista la grande quantità di dati reperibili su di noi in Rete, il passaggio all’individuo è stato scontato. Così si è usciti dal mondo tecnico dell’ingegneria mettendo l’uomo al centro della questione del Gemello Digitale».
Secondo de Kerckhove, attualmente ciascuno di noi ha già un Gemello Digitale, ma non si tratta di una entità unica bensì di banche dati slegate che raccolgono varie informazioni su di noi, e per ora non comunicanti.
«L’inconscio digitale – spiega de Kerckhove – è la mole di informazioni che si ha su di noi e che noi non conosciamo. L’inconscio digitale esternato diviene il Gemello Digitale: il contenuto della nostra memoria tradizionale esce dal cervello e si ubica in un dispositivo. E una volta che si è spostato costituisce con l’aiuto di Alexa (o di altri assistenti vocali), per fare un esempio, un ricordo del fatto che tu hai comprato e assunto un farmaco tre anni fa, del quale il tuo medico neanche sapeva. A livello etico, giuridico e sociale, avere un Gemello Digitale è diverso dall’essere semplicemente tracciati sulla Rete: in teoria permetterebbe di riprendere il controllo sui dati dotandoci di un assistente fenomenale che ci conosce meglio di noi stessi. Il Gemello Digitale ha un futuro perché i suoi sviluppi industriali sono enormi. Può essere un fatto positivo della tecnologia se impariamo a usarlo bene».