Il mondo, l’Italia, l’università, la comunicazione: dialogo con Alberto Abruzzese per i suoi 80 anni

Nell’immagine: Alberto Abruzzese, scrittore e studioso di comunicazione. © Photo by Dino Ignani.

Il 14 agosto è il compleanno di Alberto Abruzzese, che quest’anno compie 80 anni.

Nato lui nel 1942, nato io nel 1980. Anche se apparteniamo a generazioni diverse, negli ultimi 15 anni io e lui abbiamo elaborato un nostro “codice di comunicazione”, tra Roma, Milano e il mondo. Un codice che funziona ancora oggi.

Anni fa, quando gli parlai di Italo Globali, mi diede ascolto: non era un fatto scontato.

Dalla seconda metà degli anni Settanta fino all’inizio degli anni Dieci, oltre mille studenti si sono laureati con la sua Cattedra. Abruzzese ha “cresciuto” generazioni di allievi, attualmente sparsi in Italia e all’estero tra università, aziende e libera professione.

Ha insegnato Mediologia e Processi Culturali in tre città significative per l’immaginario italiano: Roma (Università La Sapienza), Napoli (Università Federico II), Milano (Università IULM).

È cittadino onorario di Napoli. Negli anni Novanta, ha contribuito in maniera sostanziale a creare il Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università La Sapienza di Roma, dove è stato Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dal 2000 al 2002. È Professore Emerito di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside della Facoltà di Turismo, Culture e Territorio e Pro-Rettore alle Relazioni Internazionali e all’Innovazione Tecnologica.

Oltre all’attività accademica, è stato attore e sceneggiatore cinematografico, commentatore televisivo, radiofonico e di carta stampata, curatore di mostre, organizzatore di eventi culturali, consulente per aziende e ministeri.

Formalmente in pensione, vive tra Roma e il mondo, e si mantiene attivo comunicando con la sua fitta rete di colleghi, allievi, amici.

Ama i sigari, l’arte, il cinema, la letteratura.

Nella nuova edizione di uno dei suoi libri più noti – La Grande Scimmia. Mostri vampiri automi mutanti. L’immaginario collettivo dalla letteratura al cinema e all’informazione, scritto nel 1979 e ripubblicato nel 2007 con Sossella editore – ha fatto una dedica a sua moglie, Benedetta Bini, scrivendo: Sempre ancora per Benedetta Bini, che ha continuato a sopportare e affascinare il mostro che sono.

Volendo fare un gioco di paragoni, se fossimo nella mitologia greca, lui sarebbe Zeus, il padre degli dèi. Nella saga cinematografica di 007, potrebbe interpretare il personaggio di M. In una sceneggiatura di Dylan Dog, incarnerebbe Bloch.

In un suo libro pubblicato nel 2011 – intitolato Il crepuscolo dei barbari, Bevivino editore – ha scritto: “La ragione è un’invenzione umana, una sua produzione. Ovvio. Lo dice anche George Clooney: no umano, no ragione. No Martini, no party. In questo spot televisivo, assai popolare, sono convocati la soglia, l’individuo, la comunità, la festa, l’oggetto amico, l’inganno. Il sorriso. Gli slogan della pubblicità sono la nostra filosofia dal basso, la relazione tra Martini e party rispecchia la razionalità di un classico vincolo moderno, dato qui nella forma di commedia con cui i consumi sono soliti parlare della tragedia umana. Qui, tuttavia, il giochino della gallina e dell’uovo non funziona. [ … ] Per dirla in un altro modo, la ragione umana – tutta da sola, non essendovi altra ragione al mondo che la sua – ha dovuto legittimare sé stessa erigendo e ostentando un proprio doppio, perfetto, e dunque al di là di ogni legittimazione umana, divino”.

Nel marzo 2012, presentando questo suo libro a Roma alla Camera dei Deputati, nella sede di Palazzo San Macuto, Abruzzese affermò: «Il capitalismo può essere attaccato soltanto da qualcosa alla sua altezza. I nuovi media pongono la carne umana in una condizione molto diversa rispetto al passato. Il mondo non finisce. Siamo noi esseri umani che finiamo. Oggi la forma delle reti ingloba sempre più l’essere umano. Il corpo scrive, ma la scrittura scrive sulla carne. Nel fenomeno dei barbari si può cogliere il salto traumatico che avviene nei momenti di stanchezza della civiltà umana».

In occasione dei suoi 80 anni, abbiamo dialogato su alcuni grandi temi.

Al giorno d’oggi, sia l’Italia sia il mondo devono affrontare numerosi e importanti problemi. Da dove dobbiamo iniziare a ragionare per risolvere le questioni sociali e politiche più urgenti? «In questi ultimi anni il mondo umano – i suoi specifici modi economico-politici di prodursi, consumarsi e riprodursi nel tempo e nello spazio – sta causando e accumulando effetti sempre più catastrofici su sé stesso e sul proprio stesso ambiente. Sul proprio destino. Tuttavia penso che questa situazione di estremo rischio ormai non possa più venire risolta tornando al circolo vizioso di quelle strategie del pensiero moderno e postmoderno che “sperano” di curare le catastrofi ricominciando dall’inizio ovvero da dove la stessa catastrofe ha avuto origine».

Da anni, esprimi profonda preoccupazione per il futuro dell’istituzione universitaria. Cosa bisogna fare per dare un futuro alla ricerca e alla formazione? «La crisi di forme, contenuti e mezzi in cui versano le istituzioni della scuola e dell’università, quindi della formazione dei giovani, non è da collocare semplicemente accanto ai tanti problemi che attanagliano e bloccano la nostra società. È un grave errore considerarla alla stregua di ogni altro riformismo: rimettere in moto il motore di una macchina istituzionale, i suoi apparati e programmi, invece di buttare il motore e costruirne un altro. A cominciare dalla formazione di formatori in grado di percepire quanto il vertiginoso sviluppo tecno-scientifico in atto stia marciando ormai da decenni senza porre al proprio centro vocazioni umane invece che semplici diktat burocratici. Fino a quando non si farà questo e nel modo giusto, scuola e università continueranno a precipitare nella dannosa inutilità del ceto professionale e politico-amministrativo che la ha prodotta».

Nel mondo analogico e novecentesco, la comunicazione aveva certe regole e determinati sistemi. Nel mondo digitale del XXI secolo stiamo assistendo ad una comunicazione che è diventata come un enorme fiume nel quale scorre di tutto: dalla bellezza all’orrore, con tutti i livelli intermedi. Cosa possiamo aspettarci dalla comunicazione del futuro? «L’enormità che dici ha riguardato il mondo umano sin dal suo principiare e dunque dall’inizio delle prime relazioni tra campi di forza gettati nella loro stessa necessità di sopravvivenza. Socializzazione e civilizzazione vanno interpretate come strategie di normalizzazione dell’enormità del mondo vivente. È il pensiero scientifico a tracciare le possibilità del futuro ma a scegliere il “che fare” – la linea di condotta – dovrebbe essere il pensiero umano. Pensiero umano liberato da tutte le ideologie dell’umanesimo, inclini come sono state e sono a scaricare le responsabilità della singola persona nei confronti di sé stessa e dell’altro da sé soltanto sull’agire del capitalismo e della tecnica».

Venti anni fa, quando hai compiuto 60 anni, l’editore Luca Sossella pubblicò un libro scritto dai tuoi amici, allievi e colleghi, intitolato Per Alberto Abruzzese. Nella tua vita hai conosciuto moltissime persone: alcune non sono più tra noi, come Umberto Eco (1932 – 2016), Gianfranco Bettetini (1933 – 2017), Paolo Rosa (1949 – 2013), altre sono tra noi, come Maurizio Costanzo, Oliviero Toscani, Donald Sassoon, Enzo Papetti, Francesco Carlà, Carlo Massarini, Michele Sorice, Fausto Colombo, Daniele Pittèri, Francesco Morace, Andrea Granelli, Derrick de Kerckhove e molti altri. «Fu una celebrazione precoce, uno zibaldone di testi e immagini che testimoniava una fitta rete di relazioni culturali, professionali e amicali. Allievi e maestri insieme. Ne restai sommerso, commosso ma spaventato, tanto da rimuoverlo. Fui consapevole che forse per me era troppo e in ben altro si sarebbe dovuta esprimere la mia vocazione per meritarmi addirittura di leggerlo. Ora vi trovo amici scomparsi come Paolo Fabbri e Umberto Coldagelli. E vite ben vissute di molti altri. Fu scritto a mia misura un testo, intitolato “Dell’abitare”, in cui Mario Tronti – al quale devo la mia formazione – marcava la nostra differenza di vedute tra la società industriale e il mondo digitale delle reti. Siamo tutti ancora a questo nodo cruciale perché non sappiamo scioglierlo o meglio tagliarlo».