Quinto appuntamento del 2012 con le Interviste Un caffè con.
Ambra
Medda è fondatrice e direttrice dello Studio creativo A.M.O. Ambra Medda Office , con sede a New York.
E’ stata co-fondatrice di Design/Miami: evento internazionale di
riferimento per il design e la creatività, che ha diretto dal 2005 al 2010 a
Miami.
In precedenza, ha lavorato in qualità di curatrice indipendente per
gallerie d’arte e di design a Londra e a New York.
Fa parte della giuria dei premi Designer of the Year e Designers
of the Future Awards.
Tra i suoi studi: lingua e cultura
cinese ed arte asiatica alla London University. Nel 2008, ha pubblicato il
libro Destination: limited-edition design.
60 mete imperdibili (Mondadori Electa, Milano).
Nata nel 1981 in Grecia, è
cresciuta tra Italia e Regno Unito, con un recente periodo di un anno e mezzo in Cina,
ed attualmente vive a New York.
Dal
tuo osservatorio, quali tendenze noti nel mondo del design? Questo
momento di crisi è stato ed è utile per il mondo creativo, e in particolare per
quello del design, perché ha dato l’opportunità a tutti di fermarsi e farsi
delle domande su che cosa si sta facendo e sul perché lo si sta facendo. Questo momento di crisi ha scosso un po’ tutti e ha fatto rallentare
il commercio. Nel design, questo fatto non è stato negativo: negli anni scorsi,
la situazione era andata fuori controllo e un eccesso di persone si stava lanciando
nel mondo del design. Invece, ora, si viene messi alla prova perché bisogna
essere più intelligenti nella gestione del budget. In un certo senso, la crisi
ha raso al suolo la situazione ed ha eliminato persone che non erano disposte a
fare un certo tipo di sforzo. I designers hanno iniziato a lavorare in maniera
più semplice, razionale e riservata, e questi aggettivi non devono essere
intesi in senso negativo.
La
contaminazione è uno degli elementi principali di questa epoca e tu stessa sei
una sostenitrice del mescolare elementi diversi. Attualmente, quali mix trovi
più riusciti? Le contaminazioni sono la parte
più saporita del mondo creativo e, in generale, del mondo in cui viviamo. Ad
esempio, prendiamo un fashion designer che si ispira ad un palazzo nuovo in
Cina oppure un attore che legge un libro oppure l’incontro fra un designer ed
un artista per la realizzazione di un progetto. Quando due o più mondi si
uniscono, ognuno porta un pensiero, una visione, una specializzazione. A me
piace moltissimo vedere cosa ne esce. Sono interessanti le contaminazioni tra
il design e l’arte, l’architettura, la moda, la tecnologia, la medicina e il
mondo del benessere. Qualche giorno fa, sono andata in una sede della NASA in
Florida per vedere una navicella spaziale in partenza per lo Spazio. A pensarci
bene, viviamo in un mondo in cui tutto è possibile e questo è un momento
storico molto stimolante, nel quale le mescolanze e i punti di intersezione
producono idee e progetti di business che per me sono fondamentali.
Cosa
hai imparato durante i cinque anni in cui hai diretto Design/Miami? Era
importante creare un punto d’incontro in cui le persone potessero dialogare e
presentarsi. Attraverso il dialogo e lo scambio di pensieri, facciamo avanzare
la cultura. Bisogna capire cosa sta pensando la gente, di cosa ha voglia, come
si comporta. Ho imparato a lavorare con i giovani creativi: un aspetto al
quale tengo moltissimo. Ho imparato anche l’arte della diplomazia perché ho
dovuto risolvere molte situazioni, accontentando molte persone diverse, dall’addetta
al desk fino al gallerista. Mi è sempre piaciuto conoscere persone provenienti
da paesi e ceti sociali diversi. Ho sempre viaggiato moltissimo e fin da
piccola sono stata immersa in un ambiente creativo, attraverso la
frequentazione, in casa, di persone che avevano idee diverse. E tramite la fiera a Miami,
ho avuto la possibilità di conoscere molte persone differenti. Le persone
sono sempre la parte più stimolante.
Cosa
pensi della creatività che scorre nel mondo del web? E’
qualcosa di incredibile: è una fonte infinita di idee. Per molte persone, si
tratta di un mondo nuovo. E’ un mondo di cui ci sentiamo partecipi, soprattutto
fra le persone della nostra generazione. Una volta, conoscevo a memoria i
numeri di telefono delle mie amiche a Milano. Oggi, è incredibile come il web abbia
influenzato il modo in cui interagiamo e lavoriamo. Ormai, comprendiamo il
mondo attraverso l’informazione che assorbiamo via internet. Trovo che questo
nuovo mondo sia eccitante ed ancora tutto da scoprire.
Proviamo
a spiegare al pubblico e ai policy makers italiani il valore economico della
creatività. Se il pubblico e i policy makers
italiani non capiscono il valore economico della creatività, non vedo chi possa
capirlo. In Italia, c’è un bagaglio culturale di tutto rispetto e l’italiano sa
riconoscere la qualità e la bellezza, ed è attento al dettaglio. Ma allo stesso
tempo, non ci rendiamo conto di quanto abbia valore perché non lo sappiamo
sfruttare. Ad esempio, gli inglesi sono stati bravissimi nel creare due o tre
musei, ben fatti, che ogni anno attraggono moltissimi visitatori attraverso
mostre spettacolari. Si può fare anche in Italia, e senza dover importare opere
da tutto il mondo come è stato fatto in Gran Bretagna. Il patrimonio culturale
italiano è quantitativamente ampio, ma non sappiamo valorizzarci. La parola
“marketing” non mi piace molto ma la questione verte anche su questo punto:
ovvero la capacità di commercio, di presentare quello che si ha, di aprirsi ad
una audience internazionale. Pensare ad un museo che sia chiuso a luglio e ad
agosto per le ferie del personale, non è più una scelta praticabile. Gli
italiani si rendono conto di quello che hanno ma poi pensano che sia volgare
sfruttarlo. Invece, presentare un bene culturale e saperlo commercializzare
significa saper tenere bene il proprio patrimonio culturale.
Al
giorno d’oggi, quali sono le aree più promettenti nel mondo per sviluppare le
capacità creative nel design? Per quanto riguarda il design,
credo che le scuole siano la base necessaria per la preparazione di un
designer. Le persone più talentuose sono attratte dalle scuole migliori, dove è
possibile avere delle basi che rendono più aperti e preparati. Per essere un
designer, bisogna avere la capacità di re-immaginare il mondo attraverso una
visione personale. In tal senso, in Olanda, Svizzera ed Inghilterra ci sono
buone scuole, dove l’approccio di pensiero al design è molto aperto. Certo, ci
sono anche gli eccessi che conducono a realizzazioni inutilizzabili, e bisogna
trovare un equilibrio. Sono rispettosa della storia del design, ma bisogna
andare avanti.
Di
solito, i creativi non sono facili da gestire, sia sul piano caratteriale sia
sul piano lavorativo. Quali consigli puoi dare in tal senso? Solitamente,
i creativi sono persone molto indipendenti, non amano essere soffocati e non
amano seguire le regole. Bisogna saper guidare le idee, dando consigli ed
input. E’ molto importante il modo in cui si comunica: magari in un momento in
cui si vorrebbero dire dieci cose, è meglio dirne soltanto due, aspettando che
la persona digerisca quelle due cose. Se vuoi trasmettere veramente un
messaggio, è inutile urlare o dire tutto insieme: in questo modo, la persona
non ha opportunità di assimilare il messaggio. Bisogna riuscire ad
immedesimarsi nell’altra persona ed avere pazienza ed empatia. Inoltre, è
necessario tenere sempre ben chiaro l’obiettivo finale. Specialmente in Italia,
si perde molto tempo in attività collaterali, mentre invece bisogna indirizzare
la propria volontà verso l’obiettivo finale. Nella scuola italiana, questa
impostazione pratica mirata all’obiettivo finale non viene insegnata. C’è
ancora un grande scarto tra università e mondo del lavoro in Italia. Se la
crisi servisse anche a fermarsi e a chiedersi:”cosa abbiamo fatto finora e
cosa stiamo facendo?”, allora ben venga. Sta soprattutto a noi decidere come
comportarci nelle situazioni.
Verresti
a lavorare in Italia? Tornerei, così come tornerebbero
molti italiani che vivono all’estero. Noi italiani nel mondo viviamo in una
dimensione diversa, più stimolante e con più opportunità. Ma credo anche che
viviamo all’estero con il rancore di non essere in Italia. Cerco di tornare in
Italia ogni volta che posso, perché in Italia mi sento a casa. E spero che per
il nostro paese ci sia un futuro promettente. Vorrei tornare a vivere in
Italia, ma la vedo dura.
Due
anni fa, hai lasciato la direzione di Design/Miami per aprire la tua società a
New York. Come sta andando questa nuova esperienza? Ho
deciso di prendere del tempo per ricaricarmi e chiedere a me stessa quali
fossero i prossimi passi nella mia vita. Per anni, ho vissuto correndo. Quando
vivi di corsa, non ti rendi conto di tante cose. Ero arrivata ad un punto
estremo: ad esempio, scendevo da un aereo e non ricordavo da quale città ero
partita. Vorrei vivere una vita più piena, in cui guardo dal finestrino invece
di passare il tempo a lavorare al computer o a vedere le e-mail. A New York,
sono molto contenta. Il mio prossimo business sarà online: credo che nel
digitale ci sia un mondo da scoprire per il design, per il modo di interagire e
di presentarsi. Sono ansiosa di lanciare il mio progetto sul web e condividere
idee, storie, oggetti, pensieri, fotografie, video di questo mondo che mi ispira.
Come evolverà il mondo della creatività? Spero che si riescano a fare grandi passi
avanti. In questo momento, siamo tutti molto titubanti. Abbiamo grande paura di
lasciare certi canoni e certe estetiche. Ho 31 anni e nella moda ho già
rivissuto gli anni Sessanta per tre volte: non mi sembra normale, anche se
adoro l’abbigliamento vintage, il cotone e la lana, e non gradisco molto i materiali
sintetici. Mi auguro che nel mondo della creatività ci sia un’espressione
veramente nostra. Conoscere la Storia è fondamentale, ma ci deve essere anche
un senso di libertà e di entusiasmo che crei un ponte verso il futuro.